31 luglio 2008

SCUOLA, GIACON: "LEZIONI IN DIALETTO? NO GRAZIE!"

Comunicato Stampa

PADOVA – 31 luglio 2008 . "Ancora una volta la Lega Nord non perde occasione per manifestare tutti i suoi pregiudizi contro il Meridione e si illude di risolvere i problemi della scuola italiana con lezioni svolte "valorizzando le specificità linguistiche", cioe' in dialetto". La recente proposta leghista è dunque sonoramente bocciata da Paolo Giacon, dell'Esecutivo Regionale del Partito Democratico del Veneto.

L'ordine di scuderia era stato lanciato qualche giorno fa a Padova da Umberto Bossi: "Non possiamo lasciare martoriare i nostri figli da gente che non viene dal Nord". Subito una zelante parlamentare padovana, per altro ex insegnante, ha preso alla lettera le parole del Senatur, trasformandole in un progetto di legge. Ecco in sintesi le proposte dell'onorevole Goisis: condizione indispensabile per insegnare in una determinata regione, dovrebbe essere la residenza almeno quinquennale nel territorio regionale Gli insegnanti dovrebbero inoltre provare la loro conoscenza del dialetto e delle tradizioni locali e valorizzare gli idiomi locali durante le lezioni.

"Per la Lega Nord i problemi della scuola italiana sono legati alla provenienza geografica dei docenti – attacca Giacon - Ma questo è un punto di vista inaccettabile, razzista ed antimeridionale. Generazioni di insegnanti provenienti del Sud hanno formato ragazzi e ragazze del Nord, che sono poi diventati ottimi lavoratori, professionisti preparati e cittadini modello." L'idea delle lezioni in dialetto è inoltre respinta energicamente dal Partito Democratico che la considera assurda ed offensiva nei confronti della professionalità dei docenti. "Gli insegnanti devono essere selezionati e giudicati esclusivamente rispetto alla loro bravura, preparazione e capacità di coinvolgere le classi ed appassionarle alla propria materia. Evidentemente – aggiunge Giacon – parole come merito e professionalità sono sconosciute alla cultura leghista."

"Altro che dialetto! – prosegue il giovane dirigente - A guardare le classifiche internazionali PISA e a sentire i docenti universitari e quelli delle superiori, nelle scuole dell'obbligo dovrebbero essere ampliati gli insegnamenti di italiano e di inglese, matematica e scienze. Quale sarà il prossimo passo della Lega Nord , - si chiede Giacon - il divieto nelle università italiane di svolgere convegni internazionali o l'obbligo per docenti universitari di svolgere la lezione in dialetto?"

Secondo il Partito Democratico del Veneto sono ben altre le questioni di cui si dovrebbero occupare Parlamento e Governo: l'edilizia scolastica, la mancanza e la fatiscenza di alcune strutture, il trattamento economico dei docenti e di tanti giovani precari della scuola, senza lasciarsi trascinare dai "piccoli orizzonti" del leghismo e della demagogia.

L'ultima nota del PD è riservata infine al Ministro dell'Istruzione. "Dispiace che Maristella Gelmini, ministro di tutta la Repubblica rimanga in silenzio e subisca passivamente la proposta leghista. – afferma Giacon e conclude – E' il segno evidente della mancanza di una proposta chiara di riforma della Scuola Italiana. Una lacuna del centrodestra che purtroppo danneggia non solo l'Italia di oggi ma anche il suo futuro."

26 luglio 2008

A G-dem la prima tessera del PD Veneto

È Alessia Pittelli, del circolo di Albignasego, la prima iscritta al Partito Democratico veneto. Ha ricevuto la tessera questa mattina dal coordinatore provinciale Fabio Rocco. La stagione del tesseramento, dunque, ha preso il via anche in Veneto.

Alessia Pittelli ha 20 anni e frequenta la facoltà di Giurisprudenza all'Università di Padova. Il suo sogno è diventare magistrato. Attiva nello sport (pallavolo) e nel volontariato, è la prima volta che si iscrive ad un partito politico. Si è avvicinata al PD nella recente stagione costituente, candidandosi e risultando eletta al coordinamento del circolo di Albignasego.

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«Dando la prima tessera del PD veneto a una giovane donna avviamo il tesseramento con l'impegno ad aprire il partito a forze nuove, soprattutto giovani, alle loro speranze e alle loro idealità – spiega Gino Zardini, responsabile organizzativo del PD regionale – La nostra generazione ha messo le basi per la costituzione del partito nuovo, ora tocca ai giovani costruirlo, renderlo forte e rappresentativo, portarlo nel futuro.»

Iscriversi al PD veneto implica l'assunzione di diritti e doveri.

Gli iscritti hanno, tra gli altri, il diritto a partecipare all'elezione diretta dei segretari e delle assemblee a tutti i livelli del partito; a essere consultati sulla scelta delle candidature a qualsiasi carica istituzionale elettiva; a partecipare alla formazione della proposta politica del partito e alla sua attuazione; a essere compiutamente informati ai fini di una partecipazione consapevole alla vita interna del partito; ad avanzare la propria candidatura per gli organismi dirigenti ai diversi livelli e sottoscrivere le proposte di candidatura per l'elezione diretta da parte di tutti gli elettori; a sottoscrivere le proposte di candidatura a ricoprire incarichi istituzionali e a candidarsi a ricoprire incarichi istituzionali.

Ma gli iscritti hanno anche dei doveri, tra cui: partecipare attivamente alla vita democratica del partito; contribuire al finanziamento del partito versando con regolarità la quota annuale di iscrizione; favorire l'ampliamento delle adesioni al partito e della partecipazione ai momenti aperti a tutti gli elettori.

«L'iscrizione al PD avviene mediante sottoscrizione della domanda di iscrizione da parte dell'interessato, da presentare personalmente, o inviare via email, al circolo territoriale o tematico più vicino alla propria residenza - spiega Pierangelo Molena, l'altro responsabile regionale organizzativo - Ci si può iscrivere dai 16 anni in su. La quota di iscrizione minima è di 15 euro all'anno. Questo primo tesseramento avrà validità per due anni, per il 2008 e il 2009.»

Durante il periodo estivo ci si potrà iscrivere anche alle Feste del Partito Democratico, dove si può anche firmare la petizione per la campagna "Salva l'Italia".




Comunicato Segreteria
Regionale del PD Veneto

24 luglio 2008

Nuovo accompagnamento musicale

Ciao a tutti,
da oggi è disponibile qui sul blog una playlist (per ora creata a mio gusto personale) di canzoni tra cui potete scegliere come sottofondo della vostra lettura dei contenuti.
Si accetta ogni suggerimento e richiesta per l'inserimento di qualsiasi altra canzone.

Buon ascolto!!!

-Ale-

Gli italiani dormiranno mai con le porte aperte?

“Le porte aperte. Suprema metafora dell’ordine, della sicurezza, della fiducia: “Si dorme con le porte aperte”. Ma era, nel sonno, il sogno delle porte aperte; cui corrispondevano nella realtà quotidiana, da svegli, e specialmente per chi amava star sveglio e scrutare e capire e giudicare, tante porte chiuse”. Prendo spunto dal pensiero di Leonardo Sciascia per esprimermi su un problema, reale o percepito come tale, molto in voga in questo periodo, ovvero quello della sicurezza legata al fenomeno dell’immigrazione. Non passa giorno in cui non riceviamo notizie, opinioni e prese di posizione sull’argomento in questione, spesso divergenti, ambigue e negativamente spiazzanti.
Preso atto che l’immigrazione è un fenomeno umano, sociale ed economico di peso internazionale, insito nella globalizzazione e nel moderno modo di pensare la società, si deve riuscire ad utilizzarlo come risorsa aggiunta all’interno di una schema vasto di sviluppo armonico e coordinato.
Ma a causa di una cronica mancanza (spiccatamente italiana?) di politiche rivolte alla (ri)strutturazione dei meccanismi d’integrazione e di accoglienza da una parte, e di quelli riguardanti la sicurezza dall’altra, il nostro sistema si trova scoperto e indifeso dinnanzi, non solo ai pesanti flussi di immigrazione, ma anche all’ordinaria amministrazione di problematiche collegate ad essa. Tutto ciò è aggravato dal fatto che una certa classe dirigente tramuti (l’immigrazione) per opportunismo politico (!!!) e per un deficit di comprensione e di valorizzazione, in invasione selvaggia e prevaricatrice del sacro suolo italico.Questa ignoranza istituzionale è spalleggiata pericolosamente da quella istituzionalizzata in certe frange cittadine e in certa parte dell’opinione pubblica, un’ignoranza che consiglia di adottare in tutta fretta, senza raziocinio, misure populiste e d’impatto (solo) mediatico, dalle conseguenze quanto mai imprevedibili, che evitano di affrontare la questione alla radice.
Se è vero, e lo è, che: “Lo straniero è colui che oggi viene e domani resta” (George Simmel), l’Italia deve proporre azioni concrete per l’assorbimento dell’immigrato nel tessuto sociale e rispondere prontamente alle possibili problematiche scaturite da tale ingresso; delle procedure di stabilizzazione che rivestano il doppio ruolo di assimilamento e di mantenimento dell’ordine nella società. Mi chiedo come in stati attigui al nostro, sia maturata nel tempo, una politica di integrazione che ha dato prova di affidabilità ed efficacia nel saper dosare rigore e appoggio assistenziale, con la fondamentale capacità di tradurre quella che appariva un’incognita destabilizzante in una ricchezza. In Italia invece latitano simili metodologie con l’unico risultato di veder degenerare una situazione oggettivamente difficile ma colpevolmente incompresa e distorta. L’immigrazione non è un fenomeno estemporaneo, si lega alla drammatica situazione in cui versano i paesi da dove trae origine, una situazione che spinge forzatamente parte delle loro popolazioni ad espatriare alla ricerca di uno sbocco risolutivo per il loro futuro. Molti settori economici e sociali italiani sopravvivono grazie a questo fattore (viste le carenze statali) con inevitabili ripercussioni sugli equilibri di un sistema già in forte regressione e decadenza. L’effetto “invasione straniera” oramai, sembra radicarsi nel modus pensanti generale, legittimando così forme esasperate di protesta, sintomatiche di una difficoltà reale nell’affrontare l’immigrazione ma soprattutto spie di un malessere sociale ed istituzionale. Gli urti provocati dal fenomeno migratorio si scaricano sui meccanismi identitari delle NOSTRE città, del NOSTRO sentire comune e del NOSTRO complesso mentale fratturando il sistema lì dove è più sensibile e vulnerabile. Il collante più naturale dovrebbe essere lo Stato che garantendo risposte efficaci e coerenti alla cittadinanza, andrebbe a sgravare da un peso importante i comuni, le province e le regioni. Ma proviamo a capire se le insicurezze degli italiani derivino esclusivamente dai Rom e dagli immigrati. Più probabilmente i “mali” citati sono la risultante di ciò che sta a monte cioè di una società alla deriva, lasciata a se stessa, ai suoi conflitti laceranti, che annaspa a causa di condizioni finanziarie e lavorative precarie, di uno Stato lassista ed in perenne ritardo sulle progettualità sociali ed economiche, di una giustizia che non è più giustizia, di una sicurezza che manca in molti (altri) settori, di una paura generale che cancella il senso civico e di comunità. E qui tornano in gioco le “porte aperte”, non solo metafora di estrema fiducia nella sicurezza tout court, ma anche volontà di allargare gli organismi sociali e politici, senza pregiudiziali, al mondo altro, ai flussi innovativi che irradiano i nostri territori, intercettandone gli elementi più benefici per riabilitare il panorama italiano e per rinvigorire un progresso strutturale quanto mai indispensabile.
Lascio, la conclusione di questa mia riflessione, alle sagge e quanto mai attuali parole, proferite nel (non troppo lontano) 1760, da Benjamin Franklyn: “Coloro che sacrificano un po’ di libertà in cambio di un poco di sicurezza, non meritano alla fine né libertà né sicurezza”.


Giampiero Piovesan
Coordinatore Partito Democratico Meolo (VE)

18 luglio 2008

Alle ultime elezioni dovevamo presentarci da soli. Ci siamo presentati in tre...

Alle ultime elezioni dovevamo presentarci da soli.
Almeno così aveva detto l'allora sindaco Veltroni quando ancora il governo doveva cadere, tant'è che qualche ex alleato continua a dare cocciutamente e miopemente la colpa della fine della legislatura esclusivamente alle esternazioni che il nostro segretario soleva ripetere a riguardo.

Ci dovevamo presentare da soli (si badi bene, non voglio dire che sarebbe stato meglio, riporto solo quello che ricordo), ma non l'abbiamo fatto. Abbiamo deciso di allearci con l'Italia dei valori. "Peccato" ho pensato quando ho saputo la notizia, sarebbe stato un bel messaggio correre da soli e, magari, vincere anche, "però dai: l'IdV almeno è un partito che mi piace, hanno le idee chiare e spesso molto condivisibili e sono sempre stati degli alleati leali".

Ci dovevamo presentare da soli e poi vedo comparire nelle liste del PD nove nomi di esponenti di un altro partito, abilmente camuffati per farli eleggere anche se non avrebbero raggiunto il 4%. Ora: capisco tutto, però cavoli, dovevamo correre da soli e ora siamo già tre partiti di cui uno inserito di nascosto, così nessuno si accorge che c'è, ci votano e viene eletto un partito che nessuno ha votato.

"Vabbé dai, almeno tutti sottoscrivono al programma". Ed effettivamente è così. Forse.

Nel frattempo le elezioni: si può fare, cambiare l'Italia ecc ecc e ci vota il 33% della popolazione. Guadagnamo qualche punto percentuale rispetto alle elezioni precedenti, ma perdiamo clamorosamente, la destra ottiene i due terzi dei voti degli italiani, insomma, stavolta non ce l'abbiamo fatta. Nessun miracolo, nessun gran risultato. Il paese è saldamente in mano alla destra per altri 5 anni (?).

Ed ecco che un'altra tegola ci cade sulla testa: dovevamo fare gruppo unico, la GRANDE NOVITÀ DEL PARTITO DEMOCRATICO, un'opposizione con un unico gruppo. La grande semplificazione ecc ecc. E invece alla fine si decide di fare due gruppi parlamentari, uno del Partito democratico e uno dell'Italia dei Valori. Insomma fin qui non ne abbiamo prevista una giusta. Da dopo la nascita del PD tutte le decisioni di questo tipo sono state ampiamente disattese.

Ma non finisce qui.

Il PD decide di fare un'"opposizione intelligente", propositiva, che approvi ciò che c'è di buono nelle proposte della maggioranza senza pregiudizi, aperta al dialogo. Si crea pure un governo ombra e questa linea è forse la principale causa del mancato gruppo unico: l'Italia dei valori più determinata in una linea dura, il Partito Democratico più dialogante. Prime crepe nella coalizione di centro sinistra. E anche questa volta i buoni propositi evaporano al calore del dibattito intorno al paccetto sicurezza. Veltroni pone un aut aut alla maggioranza e decide di porre fine al dialogo. Un altro buco nell'acqua.

Nel frattempo c'è la manifestazione di Piazza Navona: Grillo e la Guzzanti dicono quello che sappiamo tutti, Di Pietro si dissocia da alcune frasi, ma, ovviamente, essendo il maggior promotore dell'iniziativa, non se ne vuole tirare fuori. Altro aut aut dell'onorevole Veltroni, ma stavolta all'alleato: "Di Pietro scelga se stare con noi o con Grillo". L'onorevole Di Pietro risponde "Io sto con la piazza" ponendo, pare, definitivamente fine alla coalizione.

Alle ultime elezioni dovevamo presentarci da soli. Ci siamo presentati in tre.Alle ultime elezioni ci eravamo proposti un'opposizione di dialogo. Nell'arco di tre mesi siamo tornati a fare (e non che mi dispiaccia) un'opposizione "vecchio stampo".Alle ultime elezioni dovevamo formare un unico gruppo elettorale e non siamo neanche stati capaci di mantenere viva una coalizione di tre (facciamo due, va') partiti.

E poi ci chiediamo perché la destra prenda tutti quei voti.
Forse sarebbe il caso di fare un po' la pace con noi stessi.


Giovanni Venturelli

I tagli alla Giustizia sono la vera “legge blocca-processi”

Nel decreto legge di Tremonti che precederebbe la manovra finanziaria, sono previsti numerosi tagli alla spesa pubblica. Ora è meglio chiarire fin da subito, per non risultare inevitabilmente ingenui e pregiudiziali, che in Italia delle riduzioni alla spesa pubblica vanno fatte e su questo non ci piove. Lo dicevamo fino a tre mesi fa quando eravamo al Governo, e alla stessa maniera dovremmo sostenerlo oggi.
Il problema che si pone quindi non è se tagliare, ma cosa e come tagliare. La ricetta Tremontiana per cui tagliando forfettariamente a tutti, questi ultimi sono obbligati a diventare più efficienti potrebbe funzionare nel suo mondo immaginario, ma non certo nel nostro. In questo modo in realtà si aggraveranno ulteriormente le inefficienza laddove già esistono se si taglierà senza cambiare il metodo di gestione fallimentare. Laddove invece i servizi sono buoni, una riduzione dei fondi indiscriminata penalizzerà anche queste realtà virtuose. Per evitare tutto questo bisognerebbe effettuare riduzioni di spesa in base ad una precisa strategia di ammodernamento, strutturale e gestionale dell'apparato pubblico. É ovviamente facile a dirsi e molto difficile a farsi, ma nei provvedimenti in cantiere al Ministero dell'Economia non c'è il minimo tentativo di seguire questa strada.
In particolare, dopo i tagli alle Regioni, alla sanità, alla scuola, alle forze dell'ordine ( che manifesteranno contro il Governo ), ora tocca anche alla Giustizia.
Secondo il capo del Dipartimento Organizzazione e Personale del Ministero della Giustizia Claudio Castelli, “tali norme rischiano di portare al blocco degli uffici giudiziari” poiché il decreto che sta preparando Tremonti vede il blocco del turn-over e dei concorsi per i Giudici, una riduzione dell'organico amministrativo e una riduzione dei fondi per lo svolgimento dell'attività quotidiana ( cancelleria, bollette, computers ) del 22% nel 2009, del 30% nel 2010 e del 40% nel 2011.
Come possiamo vedere, gli attacchi di Berlusconi ai giudici e i suoi tentativi di delegittimazione del sistema giudiziario sono quasi un solletico difronte a questa mannaia che il Governo vuole far piombare sulla Giustizia.
È questa la sicurezza-mediatica di Berlusconi: impronte digitali ai bambini rom e tagli alle forze dell'ordine e al sistema guidiziario.


Mattia Martini

LA MANIFESTAZIONE DI PIAZZA NAVONA: AI MEDIA IMPORTA PIU' DELLA PAGLIA CHE DELLA TRAVE NELL'OCCHIO

Ero presente a quella manifestazione, a titolo personale, ma con la speranza di rappresentare in qualche modo anche le idee di quei tanti giovani del Partito Democratico che non ne possono più delle leggi vergogna del governo Berlusconi, che sono convinti che sia stato un errore il tentativo di dialogo di Veltroni prima e durante i primi mesi di questa legislatura, e che desiderano essere aperti alle idee e alle opinioni di tutti i movimenti politici senza catalogare nessuno a prescindere come populista e qualunquista. Insomma le idee che credo siano condivise da gran parte del mondo giovanile della sinistra, anche se il nostro partito, a parte qualche eccezione, molte volte sembra no n prestarci attenzione. La prova di tutto questo erano le tante facce giovani che si incontravano, alcune bandiere del PD che sventolavano assieme alle altre tra la folla, e alcuni esponenti del partito (Rita Borsellino, Furio Colombo, Arturo Parisi per esempio) che hanno deciso di prendere parte attivamente o semplicemente presenziando alla manifestazione. La manifestazione si è poi svolta con ordine e gli oratori si sono alternati sul palco tra gli applausi di tante cittadine e cittadini, anziani, giovani e famiglie, mentre dai media sembrava che in quella piazza ci fossero i peggio criminali e rivoltosi d'Italia. TUTTI COMMENTI PREPARATI AD ARTE, CHE DISTOLGONO L'ATTENZIONE (più o meno volontariamente a seconda delle testate) DALLE LEGGI VERGOGNA E DAGLI SCANDALI CHE RIGUARDANO CHI CI GOVERNA! Certo prendo le distanze da critiche sicuramente fuori luogo come quelle riguardanti il Papa o il metodo di fare opposizione del Partit o Democratico, che sicuramente ha fatto una scelta diversa ma non meno valida, ma se si considera che a fare certi interventi sono stati dei comici trovo esagerata la reazione di giornali e telegiornali che certo avrebbero fatto meglio a prestare attenzione ai motivi per cui una manifestazione così largamente partecipata era stata organizzata. Per dei provvedimenti quelli si demagogici, o ancora peggio ad-personam, che rendono la legge meno uguale per le alte cariche dello Stato (ma in realtà principalmente per Berlusconi) o che impediscono le intercettazioni per reati anche gravi e a noi cittadini di essere informati.


Pietro Galiazzo

11 luglio 2008

Moni Ovadia a Padova: contro ogni razzismo!

Per chiunque non fosse presente all'iniziativa che ha visto la presenza di Moni Ovadia a Padova (insieme a Piero Ruzzante, Flavio Zanonato e Matteo Corbo) di seguito un video che raccoglie tutte le foto della serata scattate per G-dem da Giovanni Venturelli.
Buona visione!



Potete trovare il video su youtube digitando come chiave di ricerca "Moni Ovadia a Padova" o tramite questo link .

7 luglio 2008

Piccola recensione senza pretese del romanzo vincitore del premio strega: La solitudine dei numeri primi

“Alice Della Rocca odiava la scuola di sci”. Comincia così il primo romanzo di Paolo Giordano “La solitudine dei numeri primi”.

Alice è una bambina di sette anni, che non ha il coraggio di ribellarsi al padre che la vorrebbe precoce campionessa di sci e che tutte le mattine, invece di consentirle di godersi le vacanze in montagna, la trascina in un campetto, affidandola ad un maestro di sci insieme ad altri bambini della sua età.

Lei si sente goffa e inadeguata, è certa di non avere alcuna predisposizione per quello sport e vive il tutto come un’orribile costrizione. E’ bardata in modo insopportabile: calzamaglia di lana che punge le cosce, guanti che paralizzano le dita, casco che schiaccia le guance.

Il mattino in cui inizia la vicenda le è rimasta anche la colazione sullo stomaco. In cima alla seggiovia si separa dai compagni e, complice una fittissima nebbia, cerca di liberarsi. Ma è a tal punto imbragata e imbranata, che accade l’irreparabile: se la fa addosso. Per la vergogna decide di andare a valle da sola, ma finisce fuori pista e si spezza una gamba. Continuerà a trascinarla per tutta la vita, rinfacciando al padre la sua menomazione.

Mattia è una ragazzino di grandissima intelligenza con una sorella gemella ritardata, Michela.
L’avere sempre al fianco la sorella è fonte di costante umiliazione per Mattia. Un giorno, invitato insieme a lei ad una festa da un compagno di scuola, decide di lasciarla per qualche ora in un parco, con la promessa di tornare a prenderla. Michela sparisce in modo inspiegabile e non viene più ritrovata.

Questi due episodi, raccontati all’inizio del romanzo, segnano in modo incancellabile le vite dei due protagonisti .

Alice ricava dalla sua gamba rigida un desiderio profondo di omologazione: passa l’adolescenza a desiderare di essere come le altre e a cercare considerazione e affetto. Rifiuta il cibo fino a rischiare l’anoressia per inseguire la chimera di un corpo perfetto, è diffidente con tutti perchè teme continuamente di essere respinta ed umiliata.

Mattia si immerge nello studio, ha sempre voti brillantissimi, ma , schiacciato dal senso di colpa per l’abbandono della sorella, si abbandona ogni tanto ad atti di autolesionismo, infliggendosi delle ferite alle braccia o alle mani . Gli si fa il vuoto attorno, tutti pensano a lui come ad una specie di psicopatico.

Alice e Mattia frequentano la stessa scuola ed un giorno si incontrano ad una festa.

Si scoprono simili e tuttavia profondamente divisi. Come quei numeri speciali che i matematici chiamano numeri primi gemelli: due numeri primi, cioè divisibili solo per se stessi, separati da un solo numero pari. Vicini, ma mai abbastanza per toccarsi tra loro.

Il libro descrive le storie dolorose e avvincenti di questi due giovani le cui infanzie sono state danneggiate in maniera quasi irreversibile.

Incapaci di buttarsi alle spalle un passato doloroso, Mattia e Alice vivono la certezza di essere diversi dagli altri costruendo giorno dopo giorno le barriere che li separano dal mondo.Come hanno detto in molti, La solitudine dei numeri primi è un romanzo che cresce tra le mani: parte in sordina per esplodere nel finale.

Dal tono semplice e diretto dei primi capitoli che descrivono con rara tensione emotiva le disavventure infantili dei due protagonisti, si passa al linguaggio più affinato e complesso degli ultimi capitoli della vicenda.

La solitudine dei numeri primi dista anni luce dai romanzi giovanili che vanno per la maggiore: non solo per la qualità della scrittura, ma anche per la scelta dei protagonisti: imperfetti, irrisolti, marginali, ma proprio per questo infinitamente più attraenti dal punto di vista narrativo e personale di quelli levigati e avvenenti che popolano le pagine di Moccia e affollano i reality.

Paolo Giordano ha solo 26 anni, è laureato in fisica teorica, ha una borsa di studio per il dottorato di ricerca all’Università di Torino ed ha frequentato un corso di scrittura creativa.

Sostiene che il corso gli è servito a darsi una più credibile disciplina espressiva.

Probabile, certo non gli ha dato il talento.

Quello c’era già, come dimostra questo esordio quasi folgorante .



Vincenzo Cusumano

6 luglio 2008

Sandra Bonsanti: caro Walter, ti scrivo

Lettera aperta di Sandra Bonsanti, presidente dell'associazione Libertà e Giustizia, a Walter Veltroni.


Caro Walter, mi sono decisa a scriverti questa lettera aperta nella mia veste di presidente di Libertà e Giustizia, una associazione che conosci molto bene, a cui sono iscritti molti di coloro che un anno fa hanno lavorato per te e che ora temono di non capire la tua politica e i tuoi obiettivi.
Spero che tu mi legga, anche se un tuo stretto collaboratore mi ha detto che secondo voi ciò che io scrivo pecca di “radicalismo etico”. Una definizione su cui potremmo discutere, ma pazienza: alla fine, per me è un complimento.
Spero dunque che tu prenda le mie parole non come frutto dell’antipolitica, sentimento a cui sono totalmente estranea, ma come un atto di amore per la buona politica: quella che tanti di noi hanno cercato sperando nel Pd e nel rinnovamento che esso prometteva.
Parto subito dagli avvenimenti attuali. Stretti fra iniziative generose ma di parte, da possibili tentazioni di visibilità, LeG ha sollecitato una OPPOSIZIONE di TUTTI, piuttosto che una OPPOSIZIONE SOLITARIA (una prova di unità essenziale anche in vista di possibili ipotesi referendarie possibili). Certo è difficile partecipare, una volta che altri sono partiti, ma non è impossibile. Io sono convinta che in questi casi il primo passo sia quello fondamentale: partire bene serve a proseguire bene e a vincere. Una opposizione di tutta l’opposizione, ora che in Parlamento si stanno realizzando le imprese di questa maggioranza governativa.
Ora, e non in autunno. Ora e non a ottobre. Ora e sulla giustizia e sulla Costituzione e poi in ottobre sull’economia e la nuova povertà che Berlusconi non vede per guardare solo a se stesso. In autunno questa pagina del capitolo giustizia sarà già chiusa, poi se ne apriranno altre, ma intanto il danno sarà già compiuto.
Questa opposizione di tutti credo che sia ciò che una gran parte della società civile ci chiede e chiede al Pd. Sento dire che il Pd ritiene questa area assolutamente marginale. Se così è vi sbagliate e continuate a non voler capire. Anche se fosse minoranza della minoranza il Partito democratico non può dimenticare che è un pezzo di quella base che sul Pd ha scommesso, lavorando e dando tempo, fatica, impegno, fiducia.
Abbiamo seguito con interesse la tua campagna che annunciava la fine “della stagione dell’odio”, pur convinti di non aver mai odiato nessuno, forse temuto, certamente denunciando i progetti a noi estranei. Ma poi, via via che tu magnificavi la stagione del dialogo, abbiamo cominciato a interrogarci. Perché ci pare ovvio che il dialogo si pratichi in politica, che ci sia il confronto fra maggioranza e opposizione, tra chi ha vinto e chi ha perso. Figuriamoci. Ma perché insistere tanto preventivamente su questo punto? Sposare il dialogo ad ogni costo, da parte di chi ha purtroppo perso le elezioni, non rischiava di aprire un’autostrada al vincitore? Non si rischiava di mandargli il messaggio: vai avanti, fai pure, perché non ci opporremo più di tanto, qualunque cosa tu faccia?
Così è avvenuto. Berlusconi ha potuto forzare su questioni fondamentali per la democrazia perché si è sentito al riparo da un’opposizione degna di questo nome. E appena ha voluto s’è tolto la maschera di statista che ti aveva mostrato e ha avvertito: la commedia è finita, ora il gioco si fa serio.
Troppo serio, caro Walter. Perché ci sono due facce del Cavaliere. La prima è quella che oggi molti gli riconoscono, di uomo ossessionato dai suoi problemi con la giustizia, che sono diventati purtroppo anche i nostri, e che riguardano i presunti misfatti da Berlusconi compiuti per creare e via via rafforzare il suo immenso potere che si è poi trasformato in potere politico.
La seconda riguarda appunto la politica: egli sta portando a compimento il disegno di una destra reazionaria (non semplicemente di destra), ma questa riflessione ci porterebbe lontano anche nel tempo, alla fine degli anni settanta e agli anni ottanta e tu lo sai bene perché sei fra coloro che più hanno seguito gli esordi berlusconiani.
In tale disegno rientra alla perfezione quella teoria prediletta dal cavaliere di un corpo elettorale da contrapporre alla Costituzione del ’48, quel portare lo scontro fino al vertice delle istituzioni, al Quirinale, alla Corte Costituzionale al CSM, quell’accarezzare un popolo deluso e abbandonato anche dalla sinistra per abbandonarlo di nuovo, quando i problemi personali diventano emergenze.
Ho ascoltato leader del Pd sostenere che il manifestare può esser rinviato perché “i problemi degli italiani sono altri”. Ma ti pare questa la risposta da dare? Ti pare che il problema della democrazia sia “altro”, un “altro” che può esser rinviato all’autunno? E se nel Paese è prevalente il torpore su questi temi, non tocca forse alla politica scuotere le coscienze? Non è questo che ci hanno insegnato i nostri padri, gli uomini che credevano nella possibilità di un’Italia moderna e civile, faro in Europa e nel mondo e non già argomento di dileggio sulla stampa internazionale?
Non ci siamo. L’autunno dei patriarchi non dà conforto né speranza.
Allora ci chiediamo: perché questo andazzo? Perché questa lontananza da una parte della tua base?
Le risposte, per quanto mi riguarda sono due. La prima: tu temi che il partito sia ancora troppo debole, troppo leggero (ma non era questo che ti consigliavano i tuoi amici, amici stretti di Berlusconi?) per mostrarsi in piazza. Temi che la gente vada al mare, temi il fiasco. La seconda: tu e gran parte del tuo Pd non condividete il giudizio sulla gravità della situazione che tanti spiriti liberi, giornalisti, storici e costituenti (nel senso di esperti della Costituzione) stanno dando in questi giorni. Non siete d’accordo sul fatto che sia in atto un duro attacco all’autonomia del parlamento, un attacco alla magistratura, una violazione dei diritti di uguaglianza, alla libertà di informazione.
Se così stessero le cose, se il Pd si rifiutasse non so per quale motivo di vedere cosa sta accadendo in questo paese e la china giù per la quale la maggioranza ci sta spingendo, sarebbe gravissimo. Sarebbe una sciagura per tutti, per noi ma anche per loro, i vincitori delle elezioni, che oggi non vogliono vedere.
Caro Walter, se leggerai questa lettera, sappi che un po’, anche poco, radicalismo etico non ha mai fatto male a nessuno, dai tempi di Enrico Berlinguer.
Noi di LeG ci vediamo il 10 luglio a Milano per discutere con Gustavo Zagrebelsky e Valerio Onida proprio di queste faccende. Vuoi venire? Noi ne saremmo felici.
A presto, Sandra.
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