22 aprile 2008

Perchè abbiamo perso. Come tornare a vincere!

Abbiamo perso. Questa è l’amara verità.
Il Partito Democratico ha fatto questa campagna elettorale per vincere queste elezioni e governare il paese. Era difficile, la sapevamo, ma questo era l’obiettivo. Ed invece ci apprestiamo ad assistere all’insediamento del quarto governo Berlusconi.
Il risultato non è stato di per sé negativo (abbiamo guadagnato due punti percentuali rispetto al risultato dell’Ulivo del 2006), ma in una democrazia bipolare bisogna prendere più voti degli avversari o perlomeno prenderne pochi di meno. Nove punti di distacco sono davvero davvero troppi.
Abbiamo perso, dicevo, ma perché abbiamo perso?
Una causa appare evidente, la stessa dal 1994 ad oggi: Silvio Berlusconi controlla la quasi interezza del sistema radio-televisivo, e lo usa in maniera alquanto spregiudicata per rafforzare la propria posizione.
Colpa sua, colpa nostra che in sette anni di governo (1996-2001, 2006-2008) non siamo riusciti ad approvare né una serie legge sul conflitto di interessi, né una riforma complessiva del sistema radio-televisivo.
Ma è solo per questo che abbiamo perso, oppure abbiamo fatto degli errori politici? Errori di merito e di metodo che ci hanno allontanato dal consenso popolare?
A mio modo di vedere: ne abbiamo commessi. Ne individuo tre, senza alcune pretesa di esaustività, considerandoli però quelli elettoralmente più significativi.
Alla domanda “Perché abbiamo perso?” deve però seguire un’altra domanda, vale a dire “Come tornare a vincere?”: per questo proverò per ognuno dei tre errori ad individuare anche una via di uscita.
Errore n° 1: Il linguaggio e l’apertura. La sinistra da sempre parla in maniera troppo elaborata ed analitica. Le persone di cultura media non capiscono, o magari capiscono ma restano perplesse dalla fumosità del discorso. La destra, in maniera spesso demagogica, parla chiaro.
Bisogna imparare a comunicare, ma non bisogna farlo solo per prendere i voti, nell’ottica “ed adesso come la spiego l’ovvia verità che ho in tasca a questi qua che non capiscono nulla?!”.
Dobbiamo interiorizzare la cultura pienamente democratica della partecipazione continua, del dialogo con tutti i cittadini ad ogni livello: il riformismo imposto dall’alto, che tanto ricorda il dispotismo illuminato, non paga. Dobbiamo tornare a fare politica nelle scuole, nella università, nelle piazze, nei bar, non nelle stanze delle sedi di partito. Trovare il modo di parlare anche a quella parte di paese che di sinistra non lo è mai stata, e forse mai neanche lo sarà, ma che ci chiede risposte alle esigenze concrete della vita di tutti i giorni. Un modo può essere forse cominciare ad organizzare incontri ed iniziative che attirino molte persone, tralasciando magari di invitare soltanto personaggi del partito o comunque con esso schierati, ma chiamando come ospiti anche persone un po’ “scomode”, che parlano ad un pubblico più ampio.
Errore n° 2: I temi. Il centro-sinistra ha sottovalutato in questi anni un tema fondamentale, che la Lega ha poi utilizzato in queste elezioni per ottenere un risultato notevole: il federalismo. Dobbiamo capire che l’idea che la ricchezza prodotta su di un territorio debba in buona parte restare su tale territorio, può essere di sinistra. Infatti, salva l’esistenza di sistemi di solidarietà per le zone più svantaggiate del paese e di una cornice di coordinamento, se i soldi vengono gestiti da chi è più legato al territorio, sarà più facile sostenere effettivamente chi in quel territorio è più debole.
Propongo di rilanciare questo tema elaborando in tempi stretti una grande proposta nazionale che leghi federalismo fiscale e funzione solidaristica degli enti locali, anticipando la Lega sul suo terreno.

Errore n°3: La sicurezza. Una delle istanze più forti che vengono dagli italiani in questo periodo storico è quella di poter camminare tranquillamente nelle proprie città, senza timore di subire violenza od anche solo intimidazioni da qualcuno. Anche su questo il centro-sinistra ha taciuto per molto tempo, salvo poi recuperare il tema senza portare però una posizione originale. Se sia noi sia la destra diciamo “tolleranza zero”, perché un cittadino dovrebbe votare per la copia e non per l’originale? Secondo me il Partito Democratico dovrebbe legare la questione della sicurezza a quella della legalità. Il messaggio dovrebbe essere: le regole devono essere rispettate da tutti perché il loro rispetto è la base della democrazia; chi le viola deve pagare, sia che sia un politico corrotto, sia che sia uno scippatore o spacciatore di droga delle periferie urbane. Con questo argomento si può forse mettere in difficoltà la destra, che parla di sicurezza ma che poi delegittima la magistratura ed accorcia i tempi di prescrizione per salvare Previti..

Penso che Walter Veltroni abbia fatto una campagna elettorale molto positiva, parlando alla gente con linguaggio semplice ed inserendo nel proprio programma numerose proposte su sicurezza e federalismo. Ma in tre mesi era difficile correggere gli errori degli anni precedenti.
Adesso abbiamo di fronte a noi un (purtroppo) lungo periodo di opposizione: credo sia arrivato il momento di svolgere appieno queste riflessioni.
Così forse, alle prossime elezioni, potremo tornare, con cognizione di causa, a dire: si può fare!



Matteo Corbo

17 aprile 2008

Elezioni 2008: riflessioni di un giovane democratico

Eravamo tutti sinceramente convinti che le cose sarebbero andate meglio, non nascondiamocelo. Ci aspettavamo che, seppur non vincitori, saremmo usciti da queste elezioni con un'importante affermazione che ci avrebbe visti superare il 35% dei consensi.
Il responso delle urne ci ha inchiodati al 33%. Le prime analisi dei flussi elettorali dimostrano che quel 2% in più che il PD ha guadagnato rispetto al risultato dell’Ulivo del 2006 è stato conquistato a sinistra. Questo è sicuramente sufficiente a zittire coloro i quali si preoccupavano di perdere voti in quest’area, dimostrando invece che il PD non è una forza di centro ma un’autentica forza riformista capace di rappresentare le istanze di una sinistra moderna, capace di guardare al futuro e non prigioniera di vecchi schemi ideologici e culturali appartenenti ad un’epoca passata.
Se da una parte allora ci siamo dimostrati all’altezza del compito di essere rappresentativi della sinistra (con buona pace di chi diceva che PDL e PD erano uguali!), dall’altra non siamo riusciti nella scommessa di sfondare verso il centro. Il nostro obiettivo è quello di essere, in un futuro ci auguriamo il più vicino possibile, forza di governo, maggioranza in Parlamento e soprattutto nel Paese. Se guardiamo agli ultimi 15 anni di interregno berlusconiano ci accorgiamo che il centro-sinistra di Prodi non è mai stato maggioranza in termini di voti: quando vincemmo nel 1996 la Lega Nord andò alle elezioni da sola determinando la sconfitta del centro-destra, nel 2006 l’Unione portò a casa un risultato che la vide vincitrice solo alla Camera di appena qualche migliaio di voti, un niente.
Da qui dobbiamo ripartire.
Ciò che facciamo oggi noi giovani democratici è determinante per il futuro del Partito Democratico ma soprattutto del Paese. Dovremo essere capaci di costruire un soggetto giovanile che sia veramente in grado di parlare ai giovani, di coinvolgerli, di renderli protagonisti dell’attività politica.
Tra i giovani il PD ha sicuramente cominciato col piede giusto, è stato in grado di farsi comprendere dalle molte ragazze e ragazzi che in questi ultimi mesi abbiamo visto avvicinarsi al mondo della politica. Adesso è nostro compito far sì che, passato l’entusiasmo della campagna elettorale, queste importantissime energie non si perdano, ma trovino i modi coi quali venir canalizzate nella vita pubblica e di partito, così come è necessario che le motivazioni per impegnarsi attivamente siano ancora più forti che prima.
Un forte radicamento nei territori è di cruciale importanza: un soggetto che agisce solo in ristretti circoli di città, che si rende avvicinabile solo da pochi eletti provenienti per lo più da ambienti universitari, che se ne resta chiuso nelle stanze di partito e che rimane privo di visibilità è inutile e dannoso. Bisogna puntare ad una diramazione capillare di questo nuovo soggetto giovanile nei territori; bisogna entrare nelle ancora troppo poco esplorate province della nostra regione (lì dove un soggetto come la Lega è invece capace di essere onnipresente anche tra i giovani, come dimostra l’eclatante risultato del Carroccio); bisogna essere “popolari”, capaci di parlare il linguaggio dei giovani che vivono i problemi delle periferie; bisogna farsi carico delle esigenze delle ragazze e dei ragazzi che vivono condizioni di difficile precarietà lavorativa o che conoscono la frustrazione di ambienti scolastici e universitari troppo spesso asettici da un punto di vista culturale e sociale; bisogna costruire una vera alternativa, nel nostro Veneto, ai riferimenti culturali e valoriali delle realtà parrocchiali; bisogna essere in grado di proporsi come luogo di aggregazione dei giovani.
Se sapremo fare tutto questo potremo aspirare a costruire qualcosa di nuovo nella storia di questo nostro Paese: una cultura politica riformista in grado di far affrontare al Paese le difficile sfide di una modernità globalizzata che ci vede sull’orlo di un baratro senza ritorno. Ma va costruita partendo dal basso, attraverso un’attività politica diffusa. Sta a ciascuno di noi far sì che il Partito Democratico possa essere il protagonista del futuro del Paese.
Siamo solo all’inizio, ma siamo sulla buona strada.



Gianluca Battaglia

16 aprile 2008

Walter come Francesco I?

Nel 1525 scriveva Francesco I alla madre Luisa di Savoia “Tutto è perduto fuorché l’onore e la vita che è salva” .
Oggi analizzando il dato elettorale forse possiamo utilizzare le stesse espressioni. Abbiamo perso ma forse la vita l’abbiamo salvata totalizzando nonostante la sconfitta più del risultato della scorsa tornata elettorale. Ciò che senza alcun dubbio non abbiamo perso è l’onore.
Abbiamo combattuto in semi solitudine una lotta che ai più pareva persa sin da principio. Abbiamo cambiato modo di concepire la politica decidendo di non lasciarsi più andare ad alleanze eterogenee pur di vincere, ma di porre al primo posto il programma. Siamo stati credibili. Siamo stati coerenti. Siamo stati seri e leali.
Si potrebbe facilmente ribattermi: “certo, l’intervento è riuscito ed il paziente è morto”. D’altronde anche Francesco I ha salvato l’onore e la vita ma a Pavia la battaglia l’ha persa.
Ciò che a noi interessa è aver posto le basi per un modo diverso di concepire la politica. I passi in avanti fatti fare da Veltroni al Partito Democratico sono un risultato importante. Ora dobbiamo riposizionare le truppe e capire i nostri errori.
Il “si può fare” non deve essere stato solo il motto di una sciagurata battaglia ma la parola d’ordine che deve caratterizzare l’azione del Partito Democratico.
Diamoci da fare…forse non tutto è perduto.


Vincenzo Cusumano

15 aprile 2008

Che fare: pensiero e radicamento

I volti e le voci di chi in questa campagna elettorale si è speso con generosità e passione esprimono delusione, amarezza, rassegnazione. Ora assistiamo al solito valzer dei “Me ne vado in Trentino”, “io in Toscana”, c’è addirittura chi preferisce l’Inghilterra o la Spagna. Prima di fare le valige, però, cerchiamo di capire.
Veltroni ha fatto il massimo, ha parlato al Paese e non al partito (o almeno, non solo, al partito), ha esplorato territori fin qui oscuri al centro-sinistra italiano, dando a tutti una lezione di Politica.
Chiunque altro avrebbe raggiunto molti meno consensi.
Il Partito Democratico nato effettivamente attraverso le primarie del 14 Ottobre ha avuto pochi mesi per strutturarsi e iniziare una campagna elettorale tutta in salita, conclusa con un decoroso 34%.
Considerando il breve margine di tempo, “decoroso” è un aggettivo forse troppo severo. Non possiamo nascondere, però, che ad un certo punto ci abbiamo creduto, sembrava avessimo riaperto la partita: le piazze erano piene ad ogni ora, con qualsiasi tempo, in ogni regione, e questo ci confortava. Un vento nuovo. Un vento che non si capiva da dove spirasse: da Nord, da Sud? Poi ci siamo accorti ( o meglio ri-accorti) che quel vento del nord (43 – 45) è stato rubato da un anonimo cavaliere, con tanto di elmo e di spada.
E chi, come me, era in seggio questo l’ha subito intuito. Ogni scheda una sofferenza: sentivo cinque volte Pd, tre Pdl, due o tre Lega. E mi è andata anche bene...
Me lo dico sempre: il Veneto è anche quello di Meneghello, Rigoni Stern, Zanzotto, Tina Merlin. Ma ho come l’impressione di parlare al vuoto.
Mi dico sempre anche quanto siano stati in gamba i veneti a fare di questa regione “Sud del Nord” uno dei traini dell’economia nazionale. Da contadini a piccoli imprenditori. Dall’aratro a internet. I
l tutto con un grande spirito di iniziativa.
Ma perché nessuno capisce che per noi del PD tutto questo fa parte del nostro orizzonte?Abbiamo perso, anche questa volta tra i ceti popolari. Ma come facciamo a convincerli? Dobbiamo anche noi parlare solo alla pancia? Dobbiamo anche noi promettere di vestire gli immigrati da conigli e poi sparare?
Mi è difficile capirlo. Forse basterebbe una sana politica riformista, ma non ne sono così sicuro.
Due cose, però, ci attendono subito: pensiero e radicamento.
Una profonda riflessione sul Partito Democratico non è ancora stata fatta: cosa significa essere democratici nel 2008? Quali sono i nostri riferimenti culturali? Siamo sicuri che basti essere la somma tra la tradizione socialista e quella cristiano-democratica?
Siamo un partito riformista di sinistra democratica come dice, con ottime motivazioni, Pierluigi Bersani? Cosa significa essere partito-nazione? Insomma molte sono le questioni sul tavolo.
Secondo: il radicamento. Prima ancora che in Parlamento dobbiamo avere la maggioranza nel Paese; alcuni la chiamerebbero egemonia, ma è poco importante.
Questo perché, caro Norberto Bobbio, ancora non mi rassegno anche se la tentazione è molta. Diciamo così, l’Italia questa volta (come molte altre) ha virato a destra, ma sul “naturaliter” ne parliamo più avanti.


Paolo Tognon

13 aprile 2008

Nanni Moretti: "Berlusconi inadatto a democrazia. Ecco perchè sceglierò PD"

Non mi piace l'espressione e il concetto di "voto utile", ma personalmente non ho mai avuto dubbi sul mio voto: il Partito democratico è la novità della politica italiana e forse l'ultima opportunità per non regalare definitivamente il paese all'estremismo di Berlusconi e Bossi. Purtroppo, tra gli elettori di sinistra e centrosinistra, persiste una tentazione irresponsabile ad astenersi dal voto. Gli incerti sono tali per delusione, stanchezza, assuefazione. La delusione nei confronti del governo di centrosinistra è in parte condivisibile, ma non può far dimenticare il vero e proprio abisso politico, culturale ed etico che c'è tra il centrosinistra e la destra italiana. La stanchezza si esprime con l'infastidito "Ma come è possibile, dobbiamo ancora occuparci di Berlusconi?!". Sì, il protagonista negativo purtroppo è ancora lui e, cosa impossibile da immaginare nel '94, si tratta di un Berlusconi addirittura peggiore: per aggressività, assenza di senso dello Stato e disprezzo delle istituzioni. Assuefazione: siamo arrivati al punto che ormai quasi tutti consideriamo normali cose che in democrazia non lo sono per niente, e che infatti non sono mai accadute in altri paesi: per esempio, il monopolio televisivo privato in mano a una sola persona, che, incredibilmente, si candida per la quinta volta in quindici anni a governare con le sue improvvisazioni il paese. Come non sono normali le aggressioni verbali di Bossi e Berlusconi nei confronti degli avversari politici, delle istituzioni, della magistratura, del presidente della Repubblica. Parlare di "imbracciare le armi", non può essere considerata un'innocua battuta (anzi, Berlusconi ha detto: "E' una metafora", ma mi sembra che non gli sia ben chiaro il concetto).
Molto pericolosa e inquinante è l'ossessione di Berlusconi verso i brogli elettorali. Tutti hanno dimenticato che purtroppo è una sua costante, infatti già nel '96 disse che Prodi aveva vinto grazie ai brogli. L'ha ripetuto quasi in tempo reale nell'aprile di due anni fa, convincendo milioni di elettori di essere stati derubati. Questo è un modo inaccettabile per delegittimare il voto e quindi minare le basi della democrazia. Si è poi visto, quando molti voti sono stati ricontati, che di poco era stato penalizzato il centrosinistra. In Berlusconi c'è una estraneità direi "naturale" alle regole e al rispetto dei risultati che non gli sono favorevoli. Purtroppo l'opinione pubblica in Italia non esiste. Basti fare il confronto con quello che scrivono di Berlusconi giornali stranieri non certo di sinistra: esprimono incredulità per le sue continue affermazioni anti-istituzionali, severità e durezza per i suoi continui attacchi alle norme elementari della convivenza democratica, e una autentica preoccupazione verso un suo possibile ritorno al governo. Oltretutto, per la quinta volta, c'è un candidato che parte avvantaggiato nella competizione elettorale, perché ancora controlla tre reti televisive e giornali e radio. Io sono una persona competitiva, un appassionato di gare, mi piace farle e vederle, ma le nostre elezioni assomigliano alla finale dei cento metri, la gara più bella delle Olimpiadi, con sette concorrenti allineati e l'ottavo che arriva col suo blocchetto di partenza e si sistema 15 metri più avanti. Una gara falsata... Trovo perciò insensato il gran parlare che si fa di Berlusconi come personaggio "carismatico" e "grande comunicatore". Secondo me, oggi, non è né l'uno né l'altro. A proposito di Veltroni e Berlusconi, non capisco come ci sia qualcuno che possa sostenere che i due uomini politici e i loro programmi si assomiglino o addirittura siano uguali... Tra i due politici le differenze sono enormi, Berlusconi è un disco sempre più incantato e sempre più finto. Lo si è visto anche nel suo rifiuto di confrontarsi in tv con Veltroni. Una vera e propria fuga. Sa che perderebbe voti. Purtroppo, questo suo rifiuto qui da noi non scandalizza, viene considerato normale: "E' in vantaggio, è giusto che non faccia il duello con Veltroni". In altri paesi l'opinione pubblica, che qui non esiste, ti farebbe pagare politicamente ed elettoralmente un comportamento del genere. Il centrosinistra, per non diventare come la destra, giustamente evita di usare, con segno opposto, la stessa aggressività... Per non spaventare i moderati, il centrosinistra evita di ricordare le condanne, per mafia e corruzione della magistratura, di importanti esponenti di destra: in questo modo fa due passi indietro, ma la destra ne fa otto avanti. Il centrosinistra considera molte delle argomentazioni a suo favore dei possibili boomerang, mentre la destra aggredisce e insulta. E' un problema di metodo che però è anche di sostanza: va bene non diventare come il tuo avversario, ma bisogna solamente subire?... Non ho mai usato l'espressione "regime", perché quest'espressione generica può significare tutto e niente. E' una rassicurante coperta di Linus, è un plaid linguistico che uno usa per lamentarsi e poi restare fermo. Preferirei essere più preciso, forse più duro: la nostra è una democrazia in parte svuotata dal quasi monopolio televisivo di Berlusconi. L'irresponsabilità è una caratteristica molto italiana. Bossi, Berlusconi, Dell'Utri e tanti altri nella destra, si permettono delle affermazioni gravissime. Poi si rettifica, in parte si smentisce e tutto finisce lì. Vengono considerate, con incredibile indulgenza, "dichiarazioni in libertà", "folklore", "esagerazioni pittoresche". Tanti hanno considerato troppo cupo e pessimista il finale del "Caimano", ma le frasi di Berlusconi sull'esame di sanità mentale da fare ai magistrati si spingono molto oltre. Eppure non succede nulla (ma i giornalisti stranieri, anche quelli moderati, rimangono allibiti). Il direttore di un telegiornale di Mediaset da anni sbeffeggia, ridicolizza, schernisce politici e giornalisti di sinistra e centrosinistra, e gli si risponde con corsivi ironici, invitandolo alle trasmissioni comiche, considerandolo addirittura più onesto di altri perché più schierato. Si ride. Ma non c'è niente da ridere. Milioni di persone vedono la televisione, che è uno strumento molto più prepotente dei giornali, e nei confronti del quale abbiamo meno difese... Berlusconi si è lanciato ripetutamente in affermazioni molto gravi contro Napolitano, trattandolo come "uno dei loro". Dopo l'ultima di queste incredibili uscite contro il presidente della Repubblica, alcuni giornali hanno titolato: "Lite Berlusconi-Veltroni sul Quirinale". Ma qui non c'è nessuna lite, non c'è nessun derby, c'è solo un uomo inadatto a governare, che non ha ancora capito cos'è lo Stato, le istituzioni, la democrazia liberale. Da molti anni, politici democristiani vengono accusati da Berlusconi di essere "comunisti" (dal '94 in Italia questo è ormai un insulto, a differenza di quando esisteva il Pci). Mentre molti fascisti, che restano fascisti e purtroppo non percepirebbero questo come un insulto, hanno avuto ruoli importanti nello schieramento di Berlusconi. Che, è bene ricordarlo, da capo del governo non ha mai partecipato alla festa del 25 Aprile, la festa di Liberazione.


Questo testo è un riassunto di un intervista a Nanni Moretti rilascita a micromega pubblicato QUI e tratto da QUI.

12 aprile 2008

Confronto governo Berlusconi - governo Prodi

LA POLITICA ESTERA

E’ ben difficile svolgere un confronto fra la politica estera portata avanti dal governo Prodi e quella del governo Berlusconi, per il semplice motivo che quest’ultimo…non ha condotto alcuna politica estera. Nel quinquennio 2001-2006 è infatti mancata all’Italia una qualsivoglia linea coerente nei rapporti con l’estero.
Il governo Berlusconi ha infatti continuamente mutato di avviso su tutte le principali questioni internazionali, ha siglato alleanze contraddittorie, ha utilizzato in ogni singola crisi internazionale un modus operandi differente.
La prima e fondamentale differenza fra la condotta dei due governi sta quindi proprio in questo: mentre Prodi ha sempre cercato di tenere una linea coerente, Berlusconi non ne ha mai avuta una.
Cercando comunque di estrapolare alcune linee conduttrici della politica estera berlusconiana, possiamo affermare che le sue principali caratteristiche sono state la totale sudditanza nei confronti degli Stati Uniti, la scarsa fiducia nel processo di integrazione europeo, l’enfasi continua sugli aspetti commerciali della politica internazionale ed infine il rifiuto della prospettiva multilaterale, in favore di un continuo tentativo di instaurare rapporti bilaterali con la grandi potenze mondiali.
La politica del governo Prodi è stata invece alquanto diversa: l’Italia, pur mantenendo una forte amicizia con gli USA, non ha lesinato critiche al loro operato, l’Europa è tornata al centro della nostra agenda politica, ai pur importanti aspetti commerciali si è tornati ad affiancare la tutela dei diritti umani nel mondo e il ruolo di mediazione nei conflitti, si è infine lavorato per valorizzare lo spessore della presenza italiana nelle organizzazioni internazionali.
La differenza più evidente fra Berlusconi e Prodi riguardo alla politica estera è stata comunque la posizione rispetto alla situazione iraquena: favorevole alla guerra il primo, artefice del ritiro delle truppe dal teatro del conflitto il secondo.
La politica estera del governo di centro-sinistra ha nel complesso riscosso ampi consensi fra gli altri governi e nell’opinione pubblica internazionale, tanto che all’Italia sono arrivati due importanti riconoscimenti: la guida (insieme alla Francia) della missione di pace in Libano e l’ingresso nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Tali riconoscimenti, impensabili sotto il governo Berlusconi a causa della sua incoerenza e del suo esasperato filo-americanismo, sono probabilmente il più tangibile segnale della serietà dell’azione e della bontà del lavoro di Romano Prodi sullo scenario internazionale.


Matteo Corbo


LA POLITICA EUROPEA

La coalizione di centro-destra che vinse le elezioni del maggio 2001 portò al governo, tra gli altri, AN e Lega Nord. Forza apertamente anti-europeista l’una, partito post-fascista l’altro, Berlusconi doveva dare al suo governo una immagine di affidabilità sul piano internazionale e perciò decise di mettere a capo della Farnesina una personalità di alto profilo quale Renato Ruggiero. Ben presto però le forze della maggioranza contrarie alle sue scelte filo-europeiste portarono il ministro degli esteri a rassegnare le dimissioni. Questa vicenda dimostrava come nella coalizione di governo convivessero spinte anti-europeiste, desideri velleitari di costruire una partnership privilegiata con alleati potenti come Stati Uniti e Gran Bretagna e sparute voci sostenitrici di una politica autenticamente europeista.
Per la restante durata della legislatura, con Franco Frattini prima e con Gianfranco Fini poi, la politica estera italiana ebbe, a causa di queste diverse anime, un andamento ondivago sul piano europeo (e non solo): il tentativo di allinearsi a Blair e al particolare atteggiamento britannico nei confronti dell’Unione portò l’Italia ad uscire dagli ambienti “che contano”, col risultato di ritrovarsi esclusa, come già altre volte in passato, da un nuovo direttorio franco-tedesco.
Rispetto al governo Berlusconi, le credenziali che presentava la coalizione guidata da Romano Prodi, reduce da cinque anni (1999-2004) di presidenza della Commissione europea, erano decisamente migliori, soprattutto se a questo si aggiunge l’elezione, da parte della neo-costituita maggioranza parlamentare, di un europeista della prima ora come Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica e la nomina di Massimo D’Alema come ministro degli esteri.
Alla prova dei fatti il governo Prodi ha saputo ritrovare la stella polare dell’integrazione europea, con un riavvicinamento del nostro Paese all’asse franco-tedesco e un rinnovato impegno per ridare slancio alla costruzione europea dimostrato nella conclusione del Trattato di Lisbona.
La strada percorsa nei mesi scorsi dal governo Prodi sembra essere quella che, se proseguita dal prossimo governo, porterà senz’altro ai migliori risultati possibili per il futuro: è evitando di ritentare inutili scappatoie “atlantiche” e arrivando ad una seria assunzione di responsabilità che il nostro Paese può legittimamente aspirare ad avere il posto che gli spetta all’interno dell’Unione Europea, nel cui solo alveo è possibile trovare quell’autorevolezza e quel ruolo di protagonista sullo scenario internazionale che da sempre l’Italia unitaria, invano, va cercando.


Gianluca Battaglia

11 aprile 2008

I fucili e la pazzia

Campagna elettorale dai toni pacati - questo si era detto e si continua a dire da tempo. Non fosse per gli evidenti problemi che questo comporta ad alcune forze politiche che da sempre hanno basato la loro propaganda su slogan tutt’atro che pacati.
Così Bossi fa sapere: “imbracceremo i fucili”. Marchio inconfutabile della fabbrica di razzismo, oltranzismo e miopia che la Lega rappresenta. Ennesima uscita sopra le righe del senatur che allontana l’epicentro della discussione dal pragmatismo dei problemi reali che vive il nostro paese al solito teatrino dell’odio e delle recriminazioni in cui da un po’ di tempo si è trasformato il dibattito politico. Pochezze e bassa politica condita di veleni, millanterie folli e annunci di riedizioni in salsa verde di fantomatiche marce su Roma: questa è la Lega Nord, fedele braccio destro di Berlusconi, che insieme alla Mussolini e Ciarrapico contribuisce a rendere raccapricciante la scapestrata armata “della Libertà”.
Immediate le repliche. Maroni: “si trattava di metafore” – e di cosa? Verrebbe da chiedersi. Forse è sfuggita ai più la leggera intonazione del senatur che, con la sottigliezza che gli è propria, lasciava intendere che parlando di fucili si riferisse invece a riforme. I più si scusano dell’equivoco e promettono maggiore attenzione alle sue prossime, sempre sottilissime, esternazioni.
Ciò che invece rimane oscuro è come, invece, quelle sibilline frasi siano state interpretate dal Cavaliere: “Bossi parla così a causa della sua malattia”. Traduzione: non date retta a Bossi ormai totalmente rincoglionito dalla sua malattia. Rincuorante sapere che un pazzo (almeno a detta del suo principale alleato) si candidi ad essere ministro delle repubblica. Questo dimostra che in Italia, quando si parla di pari opportunità, non si scherza affatto e che Berlusconi, avanguardia solida dei diritti di tutti, abbia già previsto una quota che deve essere senza dubbio rappresentata nel consiglio dei ministri: la quota “pazzi”. Rigraziamo il Cavaliere di averla sommata alla già consolidata quota “ladri” e attendiamo con ansia l’istituzione di quella “alcolisti” .
Come diceva Flaiano “la situazione è grave, ma non è ancora seria”.


Vincenzo Cusumano

8 aprile 2008

L'agenda dei primi 100 giorni


Ma sei sicuro di riempire la sala?

Non so quali siano le soddisfazioni della politica. Ognuno le può intendere in qualsiasi modo, ma devo dire la verità, sabato scorso c’era da essere proprio contenti.
Qualche motivo? La sala piena (in questa campagna elettorale ho visto persone non trovare posto solo durante l’incontro con Fassino), la lezione di politica fatta da Nando Dalla Chiesa, gli interventi dal pubblico, il video azzeccato…
La ciliegina c’era già prima della torta visto che tra le mura di via Beato Pellegrino erano state scandite queste parole: “Ma sei sicuro di riempire la sala?”.
L’iniziativa, inoltre, è stata la conclusione di un percorso iniziato con una discussione interna sull’opportunità o meno di pubblicare una lettera sui giornali locali in difesa della candidatura di Nando (ringrazio Matteo Corbo per il sostegno e per l’impegno che anche lui ci ha messo).
Speriamo sia servito per far capire come i Giovani Democratici dovranno essere aperti a ogni discussione, pronti alla critica intelligente e al sostegno non supino.
Ora basta con le autocelebrazioni perché bisogna tornare al lavoro. Qualche insegnamento, però, si può trarre:

- Nel Partito Democratico di “Nando Dalla Chiesa” ce ne sono molti: cerchiamoli.
- Trasmettendo l’importanza di una politica onesta e semplice (non così barocca come spesso accade anche nelle piccole realtà come quella padovana) coinvolgiamo molti più ragazzi rispetto a quelli che potremmo raggiungere con mille accordi.
- Quando ci dicono che sarà difficile riempire una sala o vincere, siamo già a un buon punto…


Paolo T.

7 aprile 2008

"Quale mafia e quale legalità" #3

Ecco l'articolo apparso ieri (6 aprile) sul Il Gazzettino dedicato alla visita padovana di Nando Dalla Chiesa e sull'iniziativa "Quale mafia e quale legalità":


Poichè non si legge benissimo, ecco il testo completo dall'articolo (che potete trovare anche QUI):

"Nando Dalla Chiesa ha discusso ieri nella sala Paladin del municipio su "Quale mafia, quale legalità", accettando l'invito dei Giovani del Pd. «Credo sia un tema di cui discutere in campagna elettorale - spiega il Sottosegretario alla Ricerca e all'Università - soprattutto perché è un argomento di cui si è cominciato a parlare troppo tardi e comunque solo sulla spinta dell'opinione pubblica».L'immaginario collettivo identifica i luoghi della "piovra" al Sud, ma le associazioni di stampo mafioso non si accontentano mai di un territorio, e non è un caso che Dalla Chiesa abbia ritenuto idonea Padova per parlarne. «E' storicamente dimostrato che la mafia ha interessi anche in Veneto - dice - e quindi qui. Sono prolungamenti importanti e credo non abbia intenzione di lasciarli. Non vorrà certo rinunciare, infatti, a una zona così ricca che offre quindi grandi possibilità di mimetizzarsi».Che gli addentellati mafiosi non risparmino nessuno è convinto anche Paolo Tognon, uno dei Giovani del Pd che ha deciso di organizzare l'evento. «Abbiamo scelto il sottosegretario perché è sempre stato impegnato contro la mafia e soprattutto perché ha una visione intransigente della legalità, atteggiamento che sta alla base della democrazia. L'esigenza nasce dal fatto che crediamo la mafia non sia solo un problema di una parte dell'Italia. Anche il Nord non ne è immune, basti pensare ai casi chiamati di "ecomafia" emersi negli ultimi tempi. Un tema di grande attualità, dunque, che ci riguarda perché la nazione è una».All'incontro sul tema sono intervenuti anche i relatori Walter Mescalchin di "Libero Veneto" e Michela Lorenzato di "Arci Padova". Nella sala gremita di giovani anche il senatore Paolo Giaretta, segretario regionale del Pd. Alla Padova epicentro culturale, quella dell'ateneo antico e delle misere borse di studio dei ricercatori, Dalla Chiesa cerca anche di tracciare un bilancio del suo operato nel corso della legislatura interrotta dalla caduta del Governo. «Ho l'orgoglio di aver fatto la legge sul diritto allo studio, e il grande rimpianto di averla vista fermata. La norma era già stata vagliata da tutte le Regioni e unanimemente condivisa, anche da quelle a guida centrodestra. Ora spero che il successore, trovando il lavoro pronto e accolto dalle parti interessate, proceda ai passi successivi per l'approvazione»."
M.D.

6 aprile 2008

"Quale mafia e quale legalità" #2

Ecco le foto dell'iniziativa di ieri che ha visto la partecipazione tra gli altri di Nando Dalla Chiesa:








Di seguito un'estratto del post inserito oggi da Dalla Chiesa sul suo blog in cui parla brevemente dell'incontro di ieri:


"...Ieri pomeriggio sono andato a Padova a un incontro organizzato dai giovani democratici su mafia e legalità. Era strapieno di giovani; così come era piena di giovani, giovedì sera a Milano, la presentazione del libro di Gomez e Travaglio. A Padova mi hanno accolto Matteo e Paolo, giovanissimi nomi di evangelisti che non vogliono fare nel Pd gli eredi delle "due culture" (comunista e democristiana), e che hanno firmato (l'ho saputo solo ieri) una lettera ai giornali cittadini in difesa della mia candidatura. Non li avevo mai incontrati prima. E dunque allineo le seguenti due cose: ci sono affinità sul territorio nazionale che neanche conosciamo e che andrebbero portate alla luce e trasformate in forza collettiva; ci sono temi (legalità, questione morale, ecc.) che sono entrati in campagna elettorale dalla finestra e che sono invece centrali soprattutto per i giovani, i famosi giovani "che dobbiamo trovare il modo di avvicinare" (praticamente assenti, per capirsi, dalla due giorni del Pd milanese su arte, cultura e creatività)."


All'indirizzo http://www.nandodallachiesa.it/ potete trovare il testo completo.

5 aprile 2008

"Quale mafia e quale legalità"

Ecco il volantino dell'iniziativa di oggi pomeriggio che vedrà la partecipazione di Nando Dalla Chiesa:



4 aprile 2008

Lo scandalo della Essalunga

Sempre in occasione della visita a Padova di Nando Dalla Chiesa proponiamo uno stralcio di un post apparso sul sito http://www.nandodallachiesa.it/ . Sito in cui potrete trovare, oltre al post completo, molti altri contenuti scritti da Dalla Chiesa stesso.

Ho saputo infatti in questi giorni ciò che mi era sfuggito durante una delle mie assenze da Milano. La storia si ambienta in una Esselunga della parte sud della città. Protagonista e vittima, una commessa. La quale ha problemi di reni e dunque deve andare più frequentemente delle sue colleghe ad assolvere alle proprie necessità fisiologiche. Chiede dunque a un certo punto di potersi assentare dal posto di lavoro per andare in bagno. Le viene negato. Lei spiega le ragioni, esibisce perfino il certificato medico. Niente. La poverina (detto nel senso più affettuoso e solidale, sia chiaro) non resiste e vive l'umiliazione infinita di doversela fare addosso. Già questo dovrebbe indurre alla sollevazione una clientela appena sensibile alla dignità non dico del lavoratore ma della persona. Ma c'è di più. La commessa pensa, giustamente, di rivolgersi a quel punto al sindacato. Volete sapere la risposta dell'Esselunga, nella persona del suo responsabile locale (a che titolo lo sia non mi importa un fico)? La commessa viene portata in uno stanzino e riempita di botte. Non uno schiaffo, ma trenta giorni di prognosi. Avete capito bene, trenta giorni. Questo mentre altrove si danno tre giorni di malattia senza alcun controllo medico. Allora, io ho deciso quanto segue. Ho un'Esselunga vicino casa, aperta spesso nei giorni di festa. Oggi non vado neanche a vedere se è aperta, pur avendo il frigo sguarnito. Non ci andrò più. Non andrò più in nessuna Esselunga, e con me mia moglie Emilia. Meglio farsi chilometri nei dintorni che dare un euro a chi tratta così i lavoratori. Già, perché queste cose non accadono a caso; queste cose sono assolutamente ma proprio assolutamente impensabili se non entro un clima molto particolare. Proprio, fatte le debite ma non troppe differenze, come alla Diaz o a Bolzaneto. Insomma io non ci comprerò più niente. A loro non fregherà nulla, con il fatturato che hanno. Ma io voglio spendere bene anche la mia coscienza di consumatore. Se poi qualcuno la pensa come me, registrerò con piacere l'affinità elettiva. Siamo uomini o caporali?


Ricordiamo che l'appuntamento per l'incontro dal titolo "Quale mafia e quale legalità" è fissato per domani, sabato 5 aprile, alle ore 17.00, presso la Sala Palladin di Palazzo Moroni - Municipio di Padova.

3 aprile 2008

Per la legalità e Nando Dalla Chiesa in Parlamento

In occasione della visita a Padova del Sottosegretario di Stato alla Ricerca e all'Universtà Nando Dalla Chiesa riportiamo anche qui una lettera ai quotidiani scritta dalle associazioni Generazione Democratica e Laboratorio48 a sostegno della candidatura parlamentare di Dalla Chiesa, già pubblicata su Il mattino e su Il Gazzettino:

Gentile Direttore,
queste poche, ma appassionate righe, sono scritte da alcuni ragazzi impegnati nella costruzione del Partito Democratico, altri, provenienti da associazioni di diverso tipo, che guardano con attenzione e interesse questo nuovo progetto, altri ancora che lo attendono alla prova dei fatti.
Ci unisce un senso profondo della legalità e della trasparenza delle istituzioni, spesso soffocati da una politica poco lungimirante.
"Nel Partito democratico svilupperemo assieme le culture della legalità, dell'ambiente,
coltiveremo un sistema di valori che include la solidarietà e il rispetto degli altri"
“Penso ai vostri coetanei di Addio Pizzo: hanno scelto di fare acquisti solo presso i negozianti palermitani che rifiutano di versare denaro alla mafia. Quei ragazzi stanno restituendo a degli imprenditori la loro libertà, quella di agire lealmente sul mercato”.
Queste sono state le parole scritte da Walter Veltroni qualche mese fa in una lettera aperta ai giovani. Le candidature di alcuni prefetti nel Mezzogiorno rappresentano una chiara inversione di tendenza per mettere al centro della politica italiana il rispetto delle regole e il senso delle istituzioni. (Sembrerà strano, ma non è sempre così).
Ci piacerebbe che queste righe venissero lette come un contributo per coprire il tassello mancante del mosaico.
Perché non è stato candidato proprio qualche ragazzo di Addio Pizzo o qualche ragazza attiva in una delle tante cooperative impegnate nella gestione dei beni confiscati alla mafia?
Perché non è stata accettata la deroga richiesta da Nando Dalla Chiesa?
Crediamo che Dalla Chiesa debba essere, anche fuori dal Parlamento, un punto di riferimento, perché non si conclude qui (anzi) il suo impegno costante in difesa della legalità e della democrazia, portato avanti con creatività, chiarezza e coerenza nei confronti della società civile e della società politica.
Consideriamo le parole pubblicate sul suo blog, circa le motivazioni che lo hanno spinto a chiedere la deroga rispetto al limite dei tre mandati, un breve trattato di passione politica.
Ora dobbiamo guardare al futuro consapevoli che le nuove generazioni sono chiamate a ridare forza alla politica nella sua più alta accezione, ripartendo da alcune parole spesso impolverate: la legge è uguale per tutti.





Matteo Corbo, 23 anni (Direzione provinciale Partito Democratico – Padova)
Paolo Tognon, 21 anni (Coordinamento provinciale Giovani Democratici – Padova)
Generazione Democratica – Laboratorio ’48



L'appuntamento con Dalla Chiesa è fissato per sabato 5 aprile alle ore 17.00 preso la Sala Palladin di Palazzo Moroni- Municipio di Padova.
Interverranno all'incontro dal titolo "Quale mafia e quale legalità" anche Walter Mescalchin (Libera Veneto) e Michela Lorenzato (ARCI Veneto)
Powered By Blogger