20 settembre 2008

Abdul, 19 anni, Milano, Italia

Era italiano, ma non era bianco.
Se invece di chiamarsi Abdul si fosse chiamato Marco, forse, le sprangate non sarebbero arrivate.
Ma il diciannovenne ucciso nell’alba più grigia di Milano era originario del Burkina Faso, aveva la pelle color ebano e gli occhi grandi.
Due italiani hanno aggredito lui e i suoi amici, John e Samir. Nemmeno John e Samir erano bianchi.Li hanno assaliti accusandoli di aver rubato dei biscotti. Dall’accusa alla lite. Dalla lite alla rissa. Dalla rissa all’omicidio. John e Samir hanno corso più veloce di Adbul.
Colpito a sprangate dal più giovane degli aggressori, Abdul, quel “ladro, negro di merda”, è morto, dopo essere stato portato all’ospedale. Dopo sette ore e mezza di agonia.
Una lite banale sfociata in tragedia?
Forse.
Il Sindaco di Milano Letizia Moratti ha voluto sottolineare come "questo genere di comportamenti e atti di tale crudeltà non appartengano ai milanesi e alla nostra comunità, per storia evocazione aperta invece alla tolleranza, alla accoglienza e alla convivenza civile".
Sta di fatto che nella tollerante e accogliente Milano, come in tante altre tolleranti e accoglienti città italiane, gli episodi di violenza a sfondo razziale stanno diventando così frequenti da rendere impossibile classificarli semplicemente come storie di ordinaria follia.
Le gocce, poco a poco, scavano le rocce.
Lentamente, inesorabilmente, profondamente. Dall’insulto all’aggressione, dal pregiudizio alla persecuzione. Il “diverso” che minaccia, che non vale quanto noi, che merita la “tolleranza zero”.
La stessa di cui si riempiono la bocca i nostri politici, dopotutto.
Certo, non che qualcuno dei nostri ministri arrivi a dire che si possano offendere, mortificare e aggredire i "diversi".
Non c'è nessuno, tra coloro che hanno personalità e sani principi, che pensi che quegli slogan roboanti, quegli inni alla “tolleranza zero”, incoraggino e giustifichino comportamenti criminali.
Ma non tutti hanno personalità e sani principi.
C’è anche chi, passata la vita a lubrificare i muscoli, a coltivare pregiudizi, grazie a quegli slogan si sente incoraggiato o giustificato ad agire.
La deriva potrebbe non essere così lontana; le rocce, prima o poi, franano sempre.


Giulia Cusumano (articolo 21)

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