5 settembre 2008

Quattro passi per avere fiducia

«La fiducia» scrisse Hannah Arendt «non è una vuota illusione, e alla fine, è l’unica cosa che può far sì che il nostro mondo privato non diventi un inferno».
La fiducia, allora, è insieme qualcosa di concreto ed essenziale. Non possiamo farne a meno. Se non l'abbiamo, dobbiamo inventarcela.
Tra i vialetti e gli stand della prima festa del Partito democratico sono in cerca di motivi di fiducia. Non sono la sola: una sparuta processione di volti conosciuti da una vita, nelle sezioni, nei dibattiti, nelle file per le primarie. Un anno fa, in questo inizio di settembre era cominciata l’organizzazione dell’evento che avrebbe eletto Veltroni primo segretario del nuovo partito. Poi è accaduto di tutto: stesse facce al vertice, parlamentari nominati e scelti dalle correnti, elezioni straperse, e un governo di destra, pericoloso e imbroglione. Prospettive? Zero o giù di lì.
Voglia di reagire, non ne parliamo. Opinione pubblica, preoccupata del bene comune, inesistente, secondo la discussione innescata da Moretti.
«Prima o poi dovremo rassegnarci a fare l’opposizione» ci dice un depresso Altan nella sua ultima vignetta.
Forse non è qui che si deve venire a cercare fiducia e speranza. Qui sono anche fisicamente riconoscibili gli scontri estivi fra amministratori e responsabili politici del Pd. Si aspetta Veltroni, tra qualche giorno, reduce dalla speranza americana, a ridare qualcosa a questa gente, che nell’attesa concede il suo applauso a Antonio Di Pietro per la sua posizione sulla giustizia. Consoliamoci pensando che le feste di partito contano sempre meno, sostituite da manifestazioni diverse, come, dice “Il Corriere della sera” i dibattiti culturali di Cortina. Anche se è noto che la perla delle Dolomiti non è proprio la vacanza alla portata della classe operaia. Che per altro non c’è più, o è talmente preoccupata da altre cose essenziali per sopravvivere che difficilmente avrebbe voglia di ispirarsi all’ombra delle Tofane.
Ma, dice Hannah Arendt, della fiducia non si può fare a meno.
Provo a dire alcune cose che mi ridarebbero fiducia.
1): la certezza e dunque una solenne riaffermazione, che, come ha detto Gustavo Zagrebelsky a luglio, nell’incontro milanese di Libertà e Giustizia «non si può barattare un principio con una presunta utilità» e dunque che sui principi bisogna essere «fermamente intransigenti», pretendendo il rispetto dei «fondamentali della democrazia». Non usciremo da questa crisi di fiducia, di speranza, di assenza di opinione pubblica se penseremo che questo è il tempo di compromessi sui principi.
2): L’opposizione alla non-cultura del governo Berlusconi deve essere decisa, forte, visibile. Qualcuno pensa che Barack Obama avrebbe vinto le primarie o avrebbe chance nella corsa alla Casa Bianca se non avesse indicato chiaramente in Bush e in Mc Cain l’avversario da sconfiggere per il bene del Paese, se non avesse specificato punto per punto la differenza del suo progetto sociale e politico, se non avesse approfondito e non appianato il solco tra lui e l’altro? Se Obama non vincerà non sarà certo per il coraggio con il quale ha attaccato, ma per il colore della sua pelle. Ma io credo che vincerà e dimostrerà al mondo che cambiare si può.
3): l’opposizione deve essere “radicata” deve cioè poter contare su un partito che c’è, ed è radicato. Ma un partito non si radica sull’aria, ha bisogno di un terreno culturale, politico e soprattutto programmatico che per ora non c’è, e questo semplice fatto lo dicono tutti i leader del Pd. Serve tanto per cominciare un’agenda delle priorità. Quali sono le priorità del Pd per le settimane, i mesi a venire? Andrà dietro ai folli disegni del governo, penso alla giustizia ma non solo: federalismo cialtrone, scuole cancellate (e dove andranno a scuola i bambini che vivono in aree poco popolate? Li deporteremo tutti, o diremo che tornino a badare alle pecore, che la scuola è per i figli dei benestanti e basta?).
4): cercherà, il Pd, di riconquistare, Costituzione e regolamenti alla mano, un po’ di dignità e di potere al Parlamento o consentirà il progressivo impoverimento nel nome della rapidità delle decisioni e degli accresciuti poteri del Premier?
Ditelo, fatecelo sapere. Non solo perché è necessario a voi, a noi, per esistere e resistere.
Perché quel 25 ottobre che non arriva mai e che arriverà comunque quando i guasti maggiori saranno già stati compiuti, vorremmo anche noi cittadini depressi poter dire «Basta!» come lo ha detto Barack Obama. E trovare qualcosa di solido, la fiducia, appunto, per non tornare ai pomodori dietro casa (come ha detto Concita, a cui mando oltre al mio scontato affetto, quello di tutta Libertà e Giustizia).
Dopo la fine delle ideologie e poi dei partiti della prima Repubblica c’è stata la percezione che anche i principi fossero disponibili: giustizia uguale per tutti, diritti civili, dignità del lavoro, separazione dei poteri, libertà di opinione e di informazione. Come direbbe Obama, Berlusconi «just doesn’t get it», cioè non ne capisce nulla o non gliene importa nulla. Oppure ne capisce anche troppo e sa che su questo vuoto di diritti lui può fondare il suo potere forte. Perché tanto gli italiani non se ne accorgono nemmeno, presi come sono dalla difficoltà di arrivare alla terza settimana del mese o di programmare il futuro dei figli.
La fiducia, non dobbiamo perderla, affinché il nostro mondo privato non diventi un inferno. Ma nemmeno questo interminabile purgatorio è augurabile a chi sia riuscito a salvare un po’ di speranza.


Laura Bonsanti (Libertà e Giustizia)

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