12 maggio 2008

Il lusso della memoria

Capita di vedere film o leggere libri che per uno strano gioco (non so di che tipo) rompano ogni barriera tra l’autore e il lettore o lo spettatore.
Capita di dire “questo è stato scritto proprio per me”, ma nessuno, ancora, è riuscito a spiegare come e perché questo accada.
Capita, anche, che versi, racconti o immagini provino a ricostruire una memoria collettiva: “questo è stato scritto per noi”, si potrebbe dire.
Da pochi minuti è finito l’intenso telefilm dedicato all’uccisione di Aldo Moro avvenuta il 9 Maggio del 1978.
Sono passati trent’anni, ma la vicenda presenta ancora tratti molto oscuri.
Il delitto Moro si colloca in quel decennio violento della storia italiana raccontato lucidamente dal figlio di Aldo, Giovanni Moro, nel suo ultimo libro: Anni Settanta.
La memoria di un paese è in realtà un testo, un solo e unico testo nel senso etimologico del termine: un intreccio di fili che, se non vengono rinforzati, non resistono alle intemperie del tempo.
Come ha osservato recentemente Nando Dalla Chiesa, per fortuna in questo Paese c’è un Presidente della Repubblica pronto a ricordare i diritti dei parenti delle vittime del terrorismo troppo spesso dimenticati per lasciare spazio ai fiumi di parole di coloro che dalla critica delle armi sono passati alle armi della critica (Giovanni Moro, Anni Settanta).
Avere una memoria significa decidere da che parte stare, ma significa anche avere gli strumenti per scegliere.
Aldo Moro? “Fu ucciso dalla mafia”, hanno risposto molti ragazzi intervistati per una recente inchiesta giornalistica, oppure “fu ucciso dalle brigate rosso-nere”, e altre scemenze (forse anche peggiori) simili.
La scuola, la cultura e la coscienza del nostro Paese, di fronte a questo, devono interrogarsi.

Lo so, queste sono "cose da intellettuali", il nostro problema è la sicurezza.
Facciamo così: per oggi mi prendo il lusso di rivolgere un pensiero ad Aldo Moro e Peppino Impastato uccisi barbaramente lo stesso giorno dal terrorismo e dalla mafia.

Mi scuso per l'intrusione...



Paolo Tognon

7 maggio 2008

Maestri ridicoli, leader imprudenti, giornalisti irresponsabili ( gli assassini di Verona e la Fiera del Libro di Torino)

Cinque imbecilli decidono di passare una serata diversa dalle solite. Aggrediscono tre coetanei a calci e pugni. Una delle tre vittime muore in ospedale a distanza di poche ore.

Un leader politico, appena diventato presidente della Camera, dice che il gesto è esecrabile, ma non quanto quello di chi brucia le bandiere di Israele e degli Stati Uniti.

Alcuni giornali di sinistra fanno di tutto per dimostrare il legame che esiste tra questo episodio di straordinaria follia e ignobile delinquenza e la vittoria della destra alle elezioni ed evocano mobilitazioni di massa in maniera irresponsabile.

Un filosofo del pensiero debole ( debolissimo secondo molti) farnetica ai margini di un avvenimento culturale, buttando benzina sul fuoco.

Un paese immaturo, in cui pullulano leader imprudenti, maestri di pensiero ridicoli, giornalisti faziosi e irresponsabili.

Un paese sull'orlo di una crisi di nervi.

In apparenza.

Perché il 99% del paese ha più buon senso di così e continua a fregarsene dei maestri di pensiero ridicoli e dei giornalisti irresponsabili e a pensare ai suoi problemi, quelli per i quali è costretto a sperare che abbiano successo nella loro azione politica quei leader politici imprudenti che non è nemmeno stato autorizzato a scegliersi.



Vincenzo Cusumano

4 maggio 2008

Siamo troppo buoni?

Nei giorni subito successivi alle elezioni si sono sentite spesso frasi di rimprovero sulla cattiva condotta del PD in campagna elettorale, sugli errori commessi, sulle candidature sciagurate, nonché sibilanti e astiose invettive della sinistra “estrema” che rimproverava a denti stretti i devastanti effetti del cosiddetto voto utile… devastanti naturalmente per loro. Avete presente la sensazione di quando nel poker vi ritrovate con una bella scala e poi, come uno schiaffo, vi superano con un arrogante full? Ecco, i “sinistri estremi” devono aver provato la stessa sensazione. Mi dispiace solo che non abbiano saputo dimostrare tutta la loro tanto sbandierata onestà intellettuale e rettitudine morale nel riconoscere il duro colpo subito. Anch’io sono rimasto un po’ sorpreso dalla completa volatilizzazione degli eredi del partito comunista più forte d’Europa, quando tra l’altro non c’è democrazia continentale che non abbia rappresentanze di sinistra “autentica” nei rispettivi parlamenti; ma tant’è. Considero impagabile la semplificazione del panorama partitico italiano oggi. E il merito di questo risultato va dato senza dubbio al Partito Democratico. Del resto mentre i finti comunisti si rinchiudevano nella torre d’avorio dell’elucubrazione ideologica, la Lega si sporcava le mani(e la bocca) dicendo senza peli sulla lingua quello che moltissimi altri pensavano(magari solo in parte), ma che non avevano il coraggio di dire. Il problema non è: non si può più essere autenticamente di sinistra oggi; bensì: la sinistra deve recuperare quella autenticità attraverso una concretezza che sembra aver perso ormai da tanto tempo. E certamente questo non avverrà con risposte vecchie, statiche e non più sentite dalla gente; non è per banalizzare, ma la mia generazione, quelle che verranno(ed evidentemente anche parecchie tra quelle precedenti), non possono e non vogliono essere inquadrate in schemi e pensieri ormai superati(comunisti- democristiani, destra-sinistra ecc.). In periodi di difficoltà, se non addirittura di crisi, come quello attuale, esiste solo ciò che deve essere fatto e ciò che non deve essere fatto; quindi una posizione concreta e condivisa sui vari problemi(possibilmente i più urgenti) è l’unica soluzione che si prospetta in questo frangente. Quando non si sta molto bene, si ha la necessità di fare e meno tempo per pensare. I valori e le grandi idee sono importanti, ed è proprio per questo che devono essere in grado di informare la società nel suo continuo divenire, nelle sue evoluzioni. Questo non è il modo per annacquare e svendere i valori, ma al contrario per rivitalizzare una società pigra e bloccata. Questo è il cambiamento.
Non mi sono ancora espresso sul risultato elettorale. Continuerò a non farlo, perché voglio prima vedere come agirà il nuovo Governo, voglio vedere se cambierà qualcosa(illuso? Mah), voglio risposte veloci e concrete da una maggioranza solida, pronto ad appoggiare interventi condivisibili e giusti, altrettanto pronto però a condannare favori e vantaggi solo per pochi o per categorie che si son già arricchite a sufficienza…in questi anni di magra per tutti gli altri.
Quello che il PD deve fare, tra l’altro, è comunicare. Esattamente quello che non si è fatto durante il breve Governo passato: quel poco(o tanto, a seconda) di buono che si è realizzato non è stato pubblicizzato a dovere. Non sappiamo vendere bene i nostri “prodotti”; ecco perché dobbiamo essere onnipresenti dal punto di vista comunicativo, e naturalmente non solo per attaccare gli avversari(ché sarebbe alquanto improduttivo). Una comunicazione semplice e chiara, che risponda a domande in ultima analisi semplici ma concrete e fondamentali. Istanze e speranze che in questa tornata elettorale sono state abilmente intercettate da altri.
Due parole sul politically correct. Questa forma di ipocrisia o, secondo altri, di debolezza(a mio avviso entrambe) che permea la cultura di sinistra e forse ancor più di centro-sinistra va abbandonata. È un modestissimo parere che esprimo: il politically correct è uno dei motivi che più ci ha penalizzati, portandoci alla sconfitta(anche se personalmente ritengo che il PD abbia fatto il massimo che si potesse fare in queste elezioni). L’espressione indica quel buonismo, quell’ipergarantismo e infine quel moralismo snob che caratterizzano trasversalmente il modo di affrontare e, ahimè, anche di risolvere, certe tematiche, in primis il famoso problema sicurezza. Siamo troppo buoni?



Giovanni Gobbo

22 aprile 2008

Perchè abbiamo perso. Come tornare a vincere!

Abbiamo perso. Questa è l’amara verità.
Il Partito Democratico ha fatto questa campagna elettorale per vincere queste elezioni e governare il paese. Era difficile, la sapevamo, ma questo era l’obiettivo. Ed invece ci apprestiamo ad assistere all’insediamento del quarto governo Berlusconi.
Il risultato non è stato di per sé negativo (abbiamo guadagnato due punti percentuali rispetto al risultato dell’Ulivo del 2006), ma in una democrazia bipolare bisogna prendere più voti degli avversari o perlomeno prenderne pochi di meno. Nove punti di distacco sono davvero davvero troppi.
Abbiamo perso, dicevo, ma perché abbiamo perso?
Una causa appare evidente, la stessa dal 1994 ad oggi: Silvio Berlusconi controlla la quasi interezza del sistema radio-televisivo, e lo usa in maniera alquanto spregiudicata per rafforzare la propria posizione.
Colpa sua, colpa nostra che in sette anni di governo (1996-2001, 2006-2008) non siamo riusciti ad approvare né una serie legge sul conflitto di interessi, né una riforma complessiva del sistema radio-televisivo.
Ma è solo per questo che abbiamo perso, oppure abbiamo fatto degli errori politici? Errori di merito e di metodo che ci hanno allontanato dal consenso popolare?
A mio modo di vedere: ne abbiamo commessi. Ne individuo tre, senza alcune pretesa di esaustività, considerandoli però quelli elettoralmente più significativi.
Alla domanda “Perché abbiamo perso?” deve però seguire un’altra domanda, vale a dire “Come tornare a vincere?”: per questo proverò per ognuno dei tre errori ad individuare anche una via di uscita.
Errore n° 1: Il linguaggio e l’apertura. La sinistra da sempre parla in maniera troppo elaborata ed analitica. Le persone di cultura media non capiscono, o magari capiscono ma restano perplesse dalla fumosità del discorso. La destra, in maniera spesso demagogica, parla chiaro.
Bisogna imparare a comunicare, ma non bisogna farlo solo per prendere i voti, nell’ottica “ed adesso come la spiego l’ovvia verità che ho in tasca a questi qua che non capiscono nulla?!”.
Dobbiamo interiorizzare la cultura pienamente democratica della partecipazione continua, del dialogo con tutti i cittadini ad ogni livello: il riformismo imposto dall’alto, che tanto ricorda il dispotismo illuminato, non paga. Dobbiamo tornare a fare politica nelle scuole, nella università, nelle piazze, nei bar, non nelle stanze delle sedi di partito. Trovare il modo di parlare anche a quella parte di paese che di sinistra non lo è mai stata, e forse mai neanche lo sarà, ma che ci chiede risposte alle esigenze concrete della vita di tutti i giorni. Un modo può essere forse cominciare ad organizzare incontri ed iniziative che attirino molte persone, tralasciando magari di invitare soltanto personaggi del partito o comunque con esso schierati, ma chiamando come ospiti anche persone un po’ “scomode”, che parlano ad un pubblico più ampio.
Errore n° 2: I temi. Il centro-sinistra ha sottovalutato in questi anni un tema fondamentale, che la Lega ha poi utilizzato in queste elezioni per ottenere un risultato notevole: il federalismo. Dobbiamo capire che l’idea che la ricchezza prodotta su di un territorio debba in buona parte restare su tale territorio, può essere di sinistra. Infatti, salva l’esistenza di sistemi di solidarietà per le zone più svantaggiate del paese e di una cornice di coordinamento, se i soldi vengono gestiti da chi è più legato al territorio, sarà più facile sostenere effettivamente chi in quel territorio è più debole.
Propongo di rilanciare questo tema elaborando in tempi stretti una grande proposta nazionale che leghi federalismo fiscale e funzione solidaristica degli enti locali, anticipando la Lega sul suo terreno.

Errore n°3: La sicurezza. Una delle istanze più forti che vengono dagli italiani in questo periodo storico è quella di poter camminare tranquillamente nelle proprie città, senza timore di subire violenza od anche solo intimidazioni da qualcuno. Anche su questo il centro-sinistra ha taciuto per molto tempo, salvo poi recuperare il tema senza portare però una posizione originale. Se sia noi sia la destra diciamo “tolleranza zero”, perché un cittadino dovrebbe votare per la copia e non per l’originale? Secondo me il Partito Democratico dovrebbe legare la questione della sicurezza a quella della legalità. Il messaggio dovrebbe essere: le regole devono essere rispettate da tutti perché il loro rispetto è la base della democrazia; chi le viola deve pagare, sia che sia un politico corrotto, sia che sia uno scippatore o spacciatore di droga delle periferie urbane. Con questo argomento si può forse mettere in difficoltà la destra, che parla di sicurezza ma che poi delegittima la magistratura ed accorcia i tempi di prescrizione per salvare Previti..

Penso che Walter Veltroni abbia fatto una campagna elettorale molto positiva, parlando alla gente con linguaggio semplice ed inserendo nel proprio programma numerose proposte su sicurezza e federalismo. Ma in tre mesi era difficile correggere gli errori degli anni precedenti.
Adesso abbiamo di fronte a noi un (purtroppo) lungo periodo di opposizione: credo sia arrivato il momento di svolgere appieno queste riflessioni.
Così forse, alle prossime elezioni, potremo tornare, con cognizione di causa, a dire: si può fare!



Matteo Corbo

17 aprile 2008

Elezioni 2008: riflessioni di un giovane democratico

Eravamo tutti sinceramente convinti che le cose sarebbero andate meglio, non nascondiamocelo. Ci aspettavamo che, seppur non vincitori, saremmo usciti da queste elezioni con un'importante affermazione che ci avrebbe visti superare il 35% dei consensi.
Il responso delle urne ci ha inchiodati al 33%. Le prime analisi dei flussi elettorali dimostrano che quel 2% in più che il PD ha guadagnato rispetto al risultato dell’Ulivo del 2006 è stato conquistato a sinistra. Questo è sicuramente sufficiente a zittire coloro i quali si preoccupavano di perdere voti in quest’area, dimostrando invece che il PD non è una forza di centro ma un’autentica forza riformista capace di rappresentare le istanze di una sinistra moderna, capace di guardare al futuro e non prigioniera di vecchi schemi ideologici e culturali appartenenti ad un’epoca passata.
Se da una parte allora ci siamo dimostrati all’altezza del compito di essere rappresentativi della sinistra (con buona pace di chi diceva che PDL e PD erano uguali!), dall’altra non siamo riusciti nella scommessa di sfondare verso il centro. Il nostro obiettivo è quello di essere, in un futuro ci auguriamo il più vicino possibile, forza di governo, maggioranza in Parlamento e soprattutto nel Paese. Se guardiamo agli ultimi 15 anni di interregno berlusconiano ci accorgiamo che il centro-sinistra di Prodi non è mai stato maggioranza in termini di voti: quando vincemmo nel 1996 la Lega Nord andò alle elezioni da sola determinando la sconfitta del centro-destra, nel 2006 l’Unione portò a casa un risultato che la vide vincitrice solo alla Camera di appena qualche migliaio di voti, un niente.
Da qui dobbiamo ripartire.
Ciò che facciamo oggi noi giovani democratici è determinante per il futuro del Partito Democratico ma soprattutto del Paese. Dovremo essere capaci di costruire un soggetto giovanile che sia veramente in grado di parlare ai giovani, di coinvolgerli, di renderli protagonisti dell’attività politica.
Tra i giovani il PD ha sicuramente cominciato col piede giusto, è stato in grado di farsi comprendere dalle molte ragazze e ragazzi che in questi ultimi mesi abbiamo visto avvicinarsi al mondo della politica. Adesso è nostro compito far sì che, passato l’entusiasmo della campagna elettorale, queste importantissime energie non si perdano, ma trovino i modi coi quali venir canalizzate nella vita pubblica e di partito, così come è necessario che le motivazioni per impegnarsi attivamente siano ancora più forti che prima.
Un forte radicamento nei territori è di cruciale importanza: un soggetto che agisce solo in ristretti circoli di città, che si rende avvicinabile solo da pochi eletti provenienti per lo più da ambienti universitari, che se ne resta chiuso nelle stanze di partito e che rimane privo di visibilità è inutile e dannoso. Bisogna puntare ad una diramazione capillare di questo nuovo soggetto giovanile nei territori; bisogna entrare nelle ancora troppo poco esplorate province della nostra regione (lì dove un soggetto come la Lega è invece capace di essere onnipresente anche tra i giovani, come dimostra l’eclatante risultato del Carroccio); bisogna essere “popolari”, capaci di parlare il linguaggio dei giovani che vivono i problemi delle periferie; bisogna farsi carico delle esigenze delle ragazze e dei ragazzi che vivono condizioni di difficile precarietà lavorativa o che conoscono la frustrazione di ambienti scolastici e universitari troppo spesso asettici da un punto di vista culturale e sociale; bisogna costruire una vera alternativa, nel nostro Veneto, ai riferimenti culturali e valoriali delle realtà parrocchiali; bisogna essere in grado di proporsi come luogo di aggregazione dei giovani.
Se sapremo fare tutto questo potremo aspirare a costruire qualcosa di nuovo nella storia di questo nostro Paese: una cultura politica riformista in grado di far affrontare al Paese le difficile sfide di una modernità globalizzata che ci vede sull’orlo di un baratro senza ritorno. Ma va costruita partendo dal basso, attraverso un’attività politica diffusa. Sta a ciascuno di noi far sì che il Partito Democratico possa essere il protagonista del futuro del Paese.
Siamo solo all’inizio, ma siamo sulla buona strada.



Gianluca Battaglia

16 aprile 2008

Walter come Francesco I?

Nel 1525 scriveva Francesco I alla madre Luisa di Savoia “Tutto è perduto fuorché l’onore e la vita che è salva” .
Oggi analizzando il dato elettorale forse possiamo utilizzare le stesse espressioni. Abbiamo perso ma forse la vita l’abbiamo salvata totalizzando nonostante la sconfitta più del risultato della scorsa tornata elettorale. Ciò che senza alcun dubbio non abbiamo perso è l’onore.
Abbiamo combattuto in semi solitudine una lotta che ai più pareva persa sin da principio. Abbiamo cambiato modo di concepire la politica decidendo di non lasciarsi più andare ad alleanze eterogenee pur di vincere, ma di porre al primo posto il programma. Siamo stati credibili. Siamo stati coerenti. Siamo stati seri e leali.
Si potrebbe facilmente ribattermi: “certo, l’intervento è riuscito ed il paziente è morto”. D’altronde anche Francesco I ha salvato l’onore e la vita ma a Pavia la battaglia l’ha persa.
Ciò che a noi interessa è aver posto le basi per un modo diverso di concepire la politica. I passi in avanti fatti fare da Veltroni al Partito Democratico sono un risultato importante. Ora dobbiamo riposizionare le truppe e capire i nostri errori.
Il “si può fare” non deve essere stato solo il motto di una sciagurata battaglia ma la parola d’ordine che deve caratterizzare l’azione del Partito Democratico.
Diamoci da fare…forse non tutto è perduto.


Vincenzo Cusumano

15 aprile 2008

Che fare: pensiero e radicamento

I volti e le voci di chi in questa campagna elettorale si è speso con generosità e passione esprimono delusione, amarezza, rassegnazione. Ora assistiamo al solito valzer dei “Me ne vado in Trentino”, “io in Toscana”, c’è addirittura chi preferisce l’Inghilterra o la Spagna. Prima di fare le valige, però, cerchiamo di capire.
Veltroni ha fatto il massimo, ha parlato al Paese e non al partito (o almeno, non solo, al partito), ha esplorato territori fin qui oscuri al centro-sinistra italiano, dando a tutti una lezione di Politica.
Chiunque altro avrebbe raggiunto molti meno consensi.
Il Partito Democratico nato effettivamente attraverso le primarie del 14 Ottobre ha avuto pochi mesi per strutturarsi e iniziare una campagna elettorale tutta in salita, conclusa con un decoroso 34%.
Considerando il breve margine di tempo, “decoroso” è un aggettivo forse troppo severo. Non possiamo nascondere, però, che ad un certo punto ci abbiamo creduto, sembrava avessimo riaperto la partita: le piazze erano piene ad ogni ora, con qualsiasi tempo, in ogni regione, e questo ci confortava. Un vento nuovo. Un vento che non si capiva da dove spirasse: da Nord, da Sud? Poi ci siamo accorti ( o meglio ri-accorti) che quel vento del nord (43 – 45) è stato rubato da un anonimo cavaliere, con tanto di elmo e di spada.
E chi, come me, era in seggio questo l’ha subito intuito. Ogni scheda una sofferenza: sentivo cinque volte Pd, tre Pdl, due o tre Lega. E mi è andata anche bene...
Me lo dico sempre: il Veneto è anche quello di Meneghello, Rigoni Stern, Zanzotto, Tina Merlin. Ma ho come l’impressione di parlare al vuoto.
Mi dico sempre anche quanto siano stati in gamba i veneti a fare di questa regione “Sud del Nord” uno dei traini dell’economia nazionale. Da contadini a piccoli imprenditori. Dall’aratro a internet. I
l tutto con un grande spirito di iniziativa.
Ma perché nessuno capisce che per noi del PD tutto questo fa parte del nostro orizzonte?Abbiamo perso, anche questa volta tra i ceti popolari. Ma come facciamo a convincerli? Dobbiamo anche noi parlare solo alla pancia? Dobbiamo anche noi promettere di vestire gli immigrati da conigli e poi sparare?
Mi è difficile capirlo. Forse basterebbe una sana politica riformista, ma non ne sono così sicuro.
Due cose, però, ci attendono subito: pensiero e radicamento.
Una profonda riflessione sul Partito Democratico non è ancora stata fatta: cosa significa essere democratici nel 2008? Quali sono i nostri riferimenti culturali? Siamo sicuri che basti essere la somma tra la tradizione socialista e quella cristiano-democratica?
Siamo un partito riformista di sinistra democratica come dice, con ottime motivazioni, Pierluigi Bersani? Cosa significa essere partito-nazione? Insomma molte sono le questioni sul tavolo.
Secondo: il radicamento. Prima ancora che in Parlamento dobbiamo avere la maggioranza nel Paese; alcuni la chiamerebbero egemonia, ma è poco importante.
Questo perché, caro Norberto Bobbio, ancora non mi rassegno anche se la tentazione è molta. Diciamo così, l’Italia questa volta (come molte altre) ha virato a destra, ma sul “naturaliter” ne parliamo più avanti.


Paolo Tognon

13 aprile 2008

Nanni Moretti: "Berlusconi inadatto a democrazia. Ecco perchè sceglierò PD"

Non mi piace l'espressione e il concetto di "voto utile", ma personalmente non ho mai avuto dubbi sul mio voto: il Partito democratico è la novità della politica italiana e forse l'ultima opportunità per non regalare definitivamente il paese all'estremismo di Berlusconi e Bossi. Purtroppo, tra gli elettori di sinistra e centrosinistra, persiste una tentazione irresponsabile ad astenersi dal voto. Gli incerti sono tali per delusione, stanchezza, assuefazione. La delusione nei confronti del governo di centrosinistra è in parte condivisibile, ma non può far dimenticare il vero e proprio abisso politico, culturale ed etico che c'è tra il centrosinistra e la destra italiana. La stanchezza si esprime con l'infastidito "Ma come è possibile, dobbiamo ancora occuparci di Berlusconi?!". Sì, il protagonista negativo purtroppo è ancora lui e, cosa impossibile da immaginare nel '94, si tratta di un Berlusconi addirittura peggiore: per aggressività, assenza di senso dello Stato e disprezzo delle istituzioni. Assuefazione: siamo arrivati al punto che ormai quasi tutti consideriamo normali cose che in democrazia non lo sono per niente, e che infatti non sono mai accadute in altri paesi: per esempio, il monopolio televisivo privato in mano a una sola persona, che, incredibilmente, si candida per la quinta volta in quindici anni a governare con le sue improvvisazioni il paese. Come non sono normali le aggressioni verbali di Bossi e Berlusconi nei confronti degli avversari politici, delle istituzioni, della magistratura, del presidente della Repubblica. Parlare di "imbracciare le armi", non può essere considerata un'innocua battuta (anzi, Berlusconi ha detto: "E' una metafora", ma mi sembra che non gli sia ben chiaro il concetto).
Molto pericolosa e inquinante è l'ossessione di Berlusconi verso i brogli elettorali. Tutti hanno dimenticato che purtroppo è una sua costante, infatti già nel '96 disse che Prodi aveva vinto grazie ai brogli. L'ha ripetuto quasi in tempo reale nell'aprile di due anni fa, convincendo milioni di elettori di essere stati derubati. Questo è un modo inaccettabile per delegittimare il voto e quindi minare le basi della democrazia. Si è poi visto, quando molti voti sono stati ricontati, che di poco era stato penalizzato il centrosinistra. In Berlusconi c'è una estraneità direi "naturale" alle regole e al rispetto dei risultati che non gli sono favorevoli. Purtroppo l'opinione pubblica in Italia non esiste. Basti fare il confronto con quello che scrivono di Berlusconi giornali stranieri non certo di sinistra: esprimono incredulità per le sue continue affermazioni anti-istituzionali, severità e durezza per i suoi continui attacchi alle norme elementari della convivenza democratica, e una autentica preoccupazione verso un suo possibile ritorno al governo. Oltretutto, per la quinta volta, c'è un candidato che parte avvantaggiato nella competizione elettorale, perché ancora controlla tre reti televisive e giornali e radio. Io sono una persona competitiva, un appassionato di gare, mi piace farle e vederle, ma le nostre elezioni assomigliano alla finale dei cento metri, la gara più bella delle Olimpiadi, con sette concorrenti allineati e l'ottavo che arriva col suo blocchetto di partenza e si sistema 15 metri più avanti. Una gara falsata... Trovo perciò insensato il gran parlare che si fa di Berlusconi come personaggio "carismatico" e "grande comunicatore". Secondo me, oggi, non è né l'uno né l'altro. A proposito di Veltroni e Berlusconi, non capisco come ci sia qualcuno che possa sostenere che i due uomini politici e i loro programmi si assomiglino o addirittura siano uguali... Tra i due politici le differenze sono enormi, Berlusconi è un disco sempre più incantato e sempre più finto. Lo si è visto anche nel suo rifiuto di confrontarsi in tv con Veltroni. Una vera e propria fuga. Sa che perderebbe voti. Purtroppo, questo suo rifiuto qui da noi non scandalizza, viene considerato normale: "E' in vantaggio, è giusto che non faccia il duello con Veltroni". In altri paesi l'opinione pubblica, che qui non esiste, ti farebbe pagare politicamente ed elettoralmente un comportamento del genere. Il centrosinistra, per non diventare come la destra, giustamente evita di usare, con segno opposto, la stessa aggressività... Per non spaventare i moderati, il centrosinistra evita di ricordare le condanne, per mafia e corruzione della magistratura, di importanti esponenti di destra: in questo modo fa due passi indietro, ma la destra ne fa otto avanti. Il centrosinistra considera molte delle argomentazioni a suo favore dei possibili boomerang, mentre la destra aggredisce e insulta. E' un problema di metodo che però è anche di sostanza: va bene non diventare come il tuo avversario, ma bisogna solamente subire?... Non ho mai usato l'espressione "regime", perché quest'espressione generica può significare tutto e niente. E' una rassicurante coperta di Linus, è un plaid linguistico che uno usa per lamentarsi e poi restare fermo. Preferirei essere più preciso, forse più duro: la nostra è una democrazia in parte svuotata dal quasi monopolio televisivo di Berlusconi. L'irresponsabilità è una caratteristica molto italiana. Bossi, Berlusconi, Dell'Utri e tanti altri nella destra, si permettono delle affermazioni gravissime. Poi si rettifica, in parte si smentisce e tutto finisce lì. Vengono considerate, con incredibile indulgenza, "dichiarazioni in libertà", "folklore", "esagerazioni pittoresche". Tanti hanno considerato troppo cupo e pessimista il finale del "Caimano", ma le frasi di Berlusconi sull'esame di sanità mentale da fare ai magistrati si spingono molto oltre. Eppure non succede nulla (ma i giornalisti stranieri, anche quelli moderati, rimangono allibiti). Il direttore di un telegiornale di Mediaset da anni sbeffeggia, ridicolizza, schernisce politici e giornalisti di sinistra e centrosinistra, e gli si risponde con corsivi ironici, invitandolo alle trasmissioni comiche, considerandolo addirittura più onesto di altri perché più schierato. Si ride. Ma non c'è niente da ridere. Milioni di persone vedono la televisione, che è uno strumento molto più prepotente dei giornali, e nei confronti del quale abbiamo meno difese... Berlusconi si è lanciato ripetutamente in affermazioni molto gravi contro Napolitano, trattandolo come "uno dei loro". Dopo l'ultima di queste incredibili uscite contro il presidente della Repubblica, alcuni giornali hanno titolato: "Lite Berlusconi-Veltroni sul Quirinale". Ma qui non c'è nessuna lite, non c'è nessun derby, c'è solo un uomo inadatto a governare, che non ha ancora capito cos'è lo Stato, le istituzioni, la democrazia liberale. Da molti anni, politici democristiani vengono accusati da Berlusconi di essere "comunisti" (dal '94 in Italia questo è ormai un insulto, a differenza di quando esisteva il Pci). Mentre molti fascisti, che restano fascisti e purtroppo non percepirebbero questo come un insulto, hanno avuto ruoli importanti nello schieramento di Berlusconi. Che, è bene ricordarlo, da capo del governo non ha mai partecipato alla festa del 25 Aprile, la festa di Liberazione.


Questo testo è un riassunto di un intervista a Nanni Moretti rilascita a micromega pubblicato QUI e tratto da QUI.
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